Crocetta al ballo del Titanic | E porta l'uomo mascherato - Live Sicilia

Crocetta al ballo del Titanic | E porta l’uomo mascherato

La conferenza stampa

C'è un dolore autentico dietro quella maschera da testimone di giustizia (all'interno la foto), una pena vera che gli occhi raccontano anche troppo bene. Era necessario esporli così? E' ancora necessaria questa mascherata del potere? Cronaca di una giornata tra i corridoi di Palazzo dei Normanni e Palazzo d'Orleans.

Una giornata con il potere
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Se queste pietre potessero parlare, racconterebbero quanto è purulenta la piaga del potere siciliano. Se i sassi dell’Ars avessero voce umana, trasmetterebbero i capitoli di una lunghissima storia di vergogna e inutilità, che adesso pare arrivata al capolinea. La Sicilia ha le sembianze di un Titanic in rotta di collisione con l’iceberg della bancarotta. Intanto, a Palazzo dei Normanni, suona l’orchestrina.
Il programma di oggi prevede lo spartito consueto: “Voglio cambiare tutto e non mi fanno cambiare niente”. Solista: Rosario Crocetta, con i violini, il cembalo, i fiati e le percussioni dell’Assemblea. Si discute di Province, di commissari, di riforme epocali, dopo la nota figuraccia del governo, strangolato dalla sua stessa maggioranza.

Se queste pietre potessero parlare, resterebbero in silenzio. Le parole non contano niente, eppure, si sprecano nell’aula suprema, consacrata all’irrilevanza. Chi le distribuisce come merce in scadenza sa già che non serviranno. “Onorevole, l’intervento è proprio necessario?”, domanda il presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone, all’incauto parlamentare che intende recitare la parte di se stesso. Un minuto di silenzio per Salvatore Natoli che fu governatore per una notte. Ardizzone lo commemora: “Si dimise per la difficile situazione”. Altri non hanno identico buongusto; un retropensiero naturale.

Intervengono, dunque, gli onorevoli, mentre altri onorevoli passeggiano, col telefonino incollato all’orecchio, si prendono a braccetto, bisbigliano. C’è un deputato che deve avere inghiottito un dizionario al contrario. I vocaboli gli escono dalla bocca capovolti. Si appassiona Angela Foti dei Cinque Stelle. I grillini almeno ci provano, danno segni di vita. Sono politicamente sgrammaticati, inconcludenti, però hanno la passione degli esordi.

Un brivido tiepido percorre la sala stampa. Il presidente Crocetta ha indetto una conferenza con i cronisti, in contemporanea con la seduta. Le cronache del Titanic cambiano sede: da Palazzo dei Normanni a Palazzo d’Orleans. Questo era il regno di Totò Cuffaro, che baciava tutti sulle guance e, nel frattempo, contava i voti. Era l’habitat di Raffaele Lombardo, che osservava il prossimo dall’alto di una gelida distanza. Questo è il teatro di Rosario Crocetta, che si presenta con un uomo incappucciato.

Si chiama Giuseppe, è uno dei testimoni di giustizia assunti dalla Regione. Quando Saro non sa che pesci prendere, butta il pallone sulle tribune dell’antimafia. Poi, calcola i dividendi del dolore altrui. E non c’entra Giuseppe – la cui pena è narrata da occhi che stringono il cuore, sotto la stoffa di sicurezza – che ha diritto al riscatto della sua sofferenza, alla serenità e al pensiero di un futuro felice. Ma perché esibirlo così? Perché ghermire la sua gioia ritrovata, la sua gratitudine, e farne carne da comizio? Perché lasciarlo esposto agli sguardi di curiosità, nudo, sotto il cappuccio?

Questo è il regno di Rosario, nella reggia d’Orleans, ridotta a teatrino di maschere e di pupi. Ed è il travestimento del potere che tiene con i denti se stesso, quello che il presidente indossa, quando osano chiedergli: “ha mai pensato di dimettersi?”. Un sorriso precede la risposta: “Non darò questa soddisfazione”. Allo scadere dell’esibizione, c’è ancora il tempo per due spari di spingardino contro Davide Faraone “che ha l’assessore all’Economia, se il bilancio va male, dovrà prenderne atto”.

La compagnia si sposta di nuovo a Palazzo dei Normanni, nel golfo mistico dell’orchestrina che suona lo spartito, mentre il Titanic affonda. Crocetta approda a Sala d’Ercole, con l’imperturbabilità di Artemio, famoso pugile malmesso, interpretato da Gassman nel film “I mostri” di Dino Risi; il boxeur sdentato che più becca cazzotti e più ripete: “So’ contento”. Prende le misure del palcoscenico, il mattatore in sedicesimi di Gela, prima della battuta definitiva: ”Qualcuno pensa che si debba andare al voto? Nessun problema. Sono convinto di vincere un’altra volta”: “So’ contento… so’ contento…”. E piovono pugni, come pietre, sul volto insanguinato della Sicilia.


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