Rosario, il sindaco rosso |che sfidò la mafia - Live Sicilia

Rosario, il sindaco rosso |che sfidò la mafia

Un passato da chimico all'Eni di Gela, icona antimafia e gay dichiarato. Storia di un sindaco rosso che Cosa nostra voleva morto. Dagli inizi nel Partito comunista al Parlamento europeo, alla corsa vittoriosa alla presidenza della Regione.

Il ritratto del neo governatore
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PALERMO – Alla fine ce l’ha fatta. La sua vittoria è la conferma, piaccia o no, che bisogna abbandonare la sinistra radicale per riportarne un pizzico al potere. Rosario Crocetta, nato 61 anni fa a Gela, è il nuovo presidente della Regione.

Chissà quante Marlboro – neanche a dirlo rosse – avrà fumato in questi mesi di campagna elettorale. Alla fine ce l’ha fatta. Il perito chimico dell’Eni e poeta, l’icona antimafia e gay dichiarato, il sindaco comunista ha avuto la meglio. Per vincere, però, il suo Pd si è dovuto alleare con i democristiani dell’Udc. Per carità, quei democristiani che rivendicano il merito di essersi lasciati alle spalle il cuffarismo. Comunque sia, il rosso si è annacquato nel bianco. A pensarci bene erano e sono i colori dello scudo crociato. Rossa la croce, bianco lo sfondo.

La vittoria di Rosario Crocetta è l’ultima tappa di una carriera politica lungimirante. L’europarlamentare – è iscritto al gruppo dei Socialisti e dei Democratici – comunista lo è stato per davvero. Prima nel Pci e poi, dal 1991, tra le file di coloro che tentano la difficile Rifondazione. Nel 1996 passa ai Verdi ed entra in Consiglio comunale nella sua Gela, dove diventa assessore alla Cultura. Nel 2000 torna nella casa rossa dei Comunisti Italiani. Nel 2002, il primo grande salto: la candidatura a sindaco appoggiato da una coalizione di centrosinistra, orfana di Rifondazione comunista. Le urne gli danno torto. Solo apparentemente, però. Il riconteggio delle schede annulla lo svantaggio di 197 voti e Crocetta diviene sindaco di Gela. In una delle sue prime uscite pubbliche rivendica, con orgoglio, di essere il “primo sindaco dichiaratamente gay” d’Italia.

Persino nella tradizionalista Sicilia la sua omosessualità non ha rappresentato un ostacolo. Lo dimostra la rielezione nel 2006 con una percentuale di poco inferiore al 65 per cento. Crocetta riorganizza il sistema degli appalti e finisce nel mirino della Stidda. Da allora la sua è una vita sotto scorta. Nel 2008 dice addio alla falce e martello e approda in casa Pd. L’anno successivo viene eletto al Parlamento europeo con oltre 150 mila preferenze. Si dimette da sindaco, attirandosi feroci critiche. Si allontana dalla Sicilia. Il clima per lui si è fatto pesante. Nel 2010 la sua vita diventa ancora più blindata. Gli investigatori intercettano che dal carcere è partito l’ordine di ammazzarlo. È giunta l’ora per la mafia di saldare i conti con l’ex sindaco. Un primo tentativo di eliminarlo era già fallito nel 2003. Crocetta deve morire assieme al Gip di Caltanissetta Giovanbattista Tona. È tutto pronto. “A partire dal 20 gennaio 2010”, dicono i boss del clan Emmanuello. Crocetta ha osato sfidarli. Da primo cittadino ha licenziato la moglie di Daniele Emmanuello, inserita nelle liste del reddito minimo del comune e si è rifiutato di concedere un alloggio popolare alla famiglia del boss.

Con Crocetta candidato è inevitabile che di mafia si torni a parlare in campagna elettorale. Una campagna elettorale in cui Crocetta si lancia dapprima in solitario. Si apre un serrato confronto all’interno del Pd. L’Udc rompe gli indugi ed è il primo partito a decidere ufficialmente di sostenerlo. Ancora prima che arrivi il sì dei democratici. Crocetta non dimentica le sue origini. Cerca di chiamare a raccolta attorno a sé i vecchi compagni. Il punto di incontro è irraggiungibile. Le loro strade sono ormai troppo lontane. E così l’ex sindaco di Gela diventa il simbolo siciliano del riavvicinamento romano fra Pd e Udc.

Attorno al suo nome, nel frattempo, si spacca il blocco dell’Antimafia. Crocetta da una parte e Claudio Fava dall’altra. La sua candidatura divide persino la famiglia Borsellino che di divisione, però, non vuol sentir parlare. Lucia, la figlia di Paolo, il magistrato ammazzato dalla mafia, accetta l’invito di Crocetta. Sarà il suo assessore alla Sanità. Rita Borsellino, che di Paolo era la sorella, appoggia Fava prima e Giovanna Marano poi. Quest’ultima è il candidato di Italia e dei Valori, della Federazione della Sinistra e di Sel.
L’antimafia è merce preziosa. Specie in campagna elettorale. E così Nello Musumeci si lascia andare ad un attacco diretto e preciso, forse l’unico della campagna elettorale del candidato del centrodestra. Tira in ballo il rapporto di un commissario di polizia (quell’Antonio Malafarina, ex questore di Gela e oggi candidato di Crocetta) che parlava del sostegno elettorale ricevuto dall’ex sindaco di Gela nel 2003 da parte di un esponente del clan Emanuello. Crocetta non le manda a dire: “Quel signore lo accompagnai io per farlo collaborare con la giustizia”. Poi, taglia corto: “Vivo sotto scorta e ho contribuito all’arresto di 850 mafiosi”.

E adesso che succederà. Da solo Crocetta non potrà governare. Avrà bisogno di allargare la sua maggioranza. I grillini gli hanno già sbattuto la porta in faccia. Non dimenticano le accuse di contiguità con la mafia rivolte al datore di lavoro di Giancarlo Cancelleri che lo ha prontamente querelato. Restano gli autonomisti di Raffale Lombardo che con il Pd ha governato fino a quando il Partito democratico non ha urlato vade retro satana al governatore. Giusto pochi mesi prima del voto. Il Pd tornerà indietro sui sui passi? Certo con qualcuno si dovrà pur governare.

 


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