(di Francesco Nuccio – ANSA) Più delle accuse e dei guai con la giustizia l’immagine che ha avuto un peso enorme nella vicenda umana di Salvatore Cuffaro, che dovrà scontare sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra, é quella che lo riprende, dopo la condanna di primo grado, davanti a un vassoio di cannoli che gli aveva portato un amico. Dava l’impressione che stesse festeggiando la condanna a 5 anni, ma lui ha sempre negato sostenendo che stava solo spostando quei dolci dal tavolo del suo ufficio. Se questo è il simbolo del declino (qualche giorno dopo si dimise da presidente della Regione) c’é un’altra improvvisata comparsa televisiva rimasta nella memoria del grande pubblico che segnò invece lo spumeggiante esordio di Cuffaro. Era il settembre 1991. Michele Santoro e Maurizio Costanzo avevano organizzato al teatro Biondo una trasmissione su Libero Grassi, ucciso dalla mafia per essersi ribellato al racket del pizzo. All’improvviso un giovane Cuffaro, rosso in viso e in maniche di camicia, si lanciò dal pubblico in una appassionata difesa di Calogero Mannino, suo capo politico, a quel tempo accusato da un pentito. “E’ una volgare aggressione – gridò – alla migliore classe dirigente siciliana della Dc”. Costanzo, che non l’aveva mai visto, chiese a uno degli ospiti chi fosse e ne storpiò il nome chiamandolo “Puffaro”. Ma quell’appellativo lasciò ben presto il posto a quello di Totò “vasa vasa”, ispirato alla sua abitudine di rendere più calorosi i suoi incontri pubblici e privati baciando su entrambe le guance gli interlocutori.
Quei gesti affettuosi, uniti alla cura metodica dei rapporti con l’elettorato, lo hanno reso popolare e politicamente sempre più influente. Che fosse una portentosa “macchina di voti” si era capito sin dal 1991 quando fu eletto all’Assemblea regionale siciliana sfiorando le 80 mila preferenze. Il successo non arrivava per caso. Nato nel 1958 a Raffadali, una volta roccaforte del Pci in provincia di Agrigento, si era messo in luce come consigliere comunale del suo paese e prima nelle liste studentesche quando frequentava la facoltà di medicina (poi arrivò la specializzazione in radiologia). Nel 1990 l’approdo al consiglio comunale di Palermo, quindi il passaggio all’Ars e un nuovo exploit elettorale nel 1996 che lo fece diventare assessore all’agricoltura. Dopo un breve passaggio nella giunta di centro sinistra guidata da Angelo Capodicasa, la scalata di Cuffaro ai vertici della Regione raggiunse il culmine nel 2001 quando, come candidato del centro destra, sconfisse Leoluca Orlando nella prima elezione diretta a presidente. Replicò il successo nel 2006 quando l’avversario era Rita Borsellino.
Ma dopo meno di due anni dovette gettare la spugna. Aveva resistito alla prima condanna, era riuscito a superare una mozione di sfiducia del centro sinistra all’Ars ma non le reazioni suscitate da quella foto “maledetta” con i cannoli. Sposato con Giacoma Chiarello, pure medico, padre di due ragazzi, Cuffaro ha sempre manifestato un forte sentimento religioso. La sua casa è piena di statue e immagini della Madonna a cui nel 2001 affidò le sorti della Sicilia. Dopo le dimissioni da Governatore, presentate il 23 gennaio 2008, sembrava che la parabola politica di Cuffaro fosse arrivata alla conclusione. Lui stesso aveva fatto intendere che si sarebbe fatto da parte. Invece non mancò l’appuntamento con le politiche del 2008 quando trascinò con i suoi voti l’Udc al Senato, conquistando un seggio. Nell’ottobre 2010 è stato al centro di una nuova svolta politica. Abbandonata l’Udc, ha promosso con Calogero Mannino e l’amico Saverio Romano il Pid, Popolari di Italia domani. Il gruppo, in rotta con Casini, si è subito schierato a sostegno del governo Berlusconi e ha votato per la fiducia. Cuffaro ha condiviso fino in fondo quella linea ma ha preferito restare fuori dalla scena per dedicarsi ai suoi appuntamenti con la giustizia ribadendo sempre il massimo rispetto per la magistratura. Fino alla vigilia della sentenza della Cassazione, che il senatore ha atteso raccogliendosi in preghiera nella chiesa della Minerva a Roma e affidandosi, come sempre, alla Madonna prima di andare in carcere.