Da Pagliarelli a Borgo Vecchio | Blitz Hybris, pioggia di condanne - Live Sicilia

Da Pagliarelli a Borgo Vecchio | Blitz Hybris, pioggia di condanne

Stangata per boss e gregari di Cosa Nostra. Tutti i nomi e le pene inflitte.

Palermo - la sentenza d'appello
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PALERMO – Da Pagliarelli a Porta Nuova, compreso il popolare quartiere del Borgo Vecchio. Nel luglio 2011 i carabinieri misero in ginocchio la mafia di una grossa fetta della città di Palermo. La Cassazione due anni fa aveva chiuso il processo nato dall’operazione Hybris. Restavano aperte alcune posizioni ora definite in appello. Queste le condanne inflitte dalla terza sezione della Corte di appello, presieduta da Antonino Napoli: Michele Armanno (16 anni), Filippo Burgio (11 anni), Giovanni Castello (10 anni e 8 mesi), Gioacchino Martorana (8 anni e 6 mesi) e Marcello Viviano (9 anni e 6 mesi). Si era tornati in appello per valutare la contestazione della recidiva. Prima era obbligatorio, oggi c’è un margine di discrezionalità che dipende dalla valutazione delle singole posizioni.

Il blitz ricostruì la rete del pizzo e la catena di connivenze che aveva protetto la latitanza di Gianni Nicchi. Mentre gli davano la caccia, il giovane boss alla guida della mandamento di Pagliarelli trascorreva le vacanze a San Vito Lo Capo e ad Amantea, in Calabria, in compagnia della fidanzata.

Le indagini sulla latitanza del picciuteddu si intrecciarono con quelle sugli assetti del mandamento. In carcere finirono, innanzitutto, gli uomini che guidavano la cosca che inglobava le famiglie di Pagliarelli, Calatafimi, Borgo Molara e Rocca-Mezzo Monreale. L’elenco degli arrestati si apriva con Nicchi e proseguiva con quello di Michele Armanno che ne aveva preso il posto al vertice del clan.  Filippo Burgio, invece, era il postino del giovane  latitante.

E poi, una sfilza di picciotti, più o meno giovani, che si occupavano soprattutto della raccolta del pizzo agli ordini di Armanno. Uscito da poco dal carcere, dopo avere scontato una condanna per mafia, lo zio Michele si era rimesso subito in attività. I suoi uomini erano una macchina da soldi. La regola del pizzo era ferrea. I commercianti che pagavano e quelli che dovevano presto mettersi a posto erano indicati in un libro mastro delle estorsioni che lo stesso Armanno custodiva con cura.

Nel corso delle conversazioni intercettate fra Armanno e il suo braccio destro Maurizio  Lareddola si faceva riferimento al libro mastro e al rendiconto con cui confrontare le somme incassate: “Io gli ho detto di fare tutto quello che, è li deve confrontare con quelli che ho scritto io”. Secondo Armano, alcuni negozianti mancavano all’appello: “… gli dici dammi le cose, e dimmi quante ne sono, no no no, quante no sono restate. Le hai fatte tutte? Lui ora vuole mettersi a picchiare. Mi sembra che la vedo moscia… io fiducia non ne do più a nessuno, parliamoci chiaro… Noi possiamo pure salire lo sai? Sono le cinque… guarda chi c’è, c’è questo qua, questo prima era… e all’epoca gli ho rotto le corna… Lui deve prendere i soldi del bar…del forno di là. Il crasto, il macellaio di qua, me l’ha portata”. A volte capitava che i conti non tornassero: “… pensavo, io ho fuoriuscite, giusto è? Perché poi mi trovo sprovvisto” ed aggiungeva che in base ai suoi calcoli mancavano ancora alcune somme “perché vedo quelli che ci sono, quelli che sono scritti e dico minchia ma com’è che mancano soldi, mi hai capito?… domani, dobbiamo acchiappare a quello, il negoziante, quel carabiniere ci deve dare i soldi questa settimana… questo cornuto li, mi sembra che usciva un milione …inc… non mi ricordo…un milione, due milione … sono passati quindici anni… guarda dov’è l’animaletto. Minchia cosa da andarci e dire ma ancora non me li dai… ancora non me li dai cinquecento euro? E a momento viene, sta venendo Pasqua, che poi ci sono quelli di Pasqua e meglio che ce li dà adesso, hai capito?”.


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