PALERMO – Fabio è stato bravo. Ha lasciato segni di sé ovunque nell’imminenza del viaggio. Ha messo nella valigia le sue spoglie di uomo mortale e ha conservato per colei che ama e per coloro che ha amato un manuale, un libriccino di istruzioni per l’eternità.
Abbiamo sofferto per la storia di Fabio Giambruno, il padre che ha voluto tracciare la strada di suo figlio, prima di andare via, scrivendo una lettera con i suoi sogni riflessi nel sogno di Giuliano, campioncino di enduro. Abbiamo imparato a memoria il messaggio in bottiglia che piombò in redazione, almeno l’attacco, con cui i giornalisti di mestiere valutano l’affabilità di un pezzo. Si legge, scartando il cuore dalla bottiglia immaginaria: “Quella che racconto qui brevemente è la mia storia, quella di mio figlio…il nostro sogno. Io, Fabio Giambruno, affermato architetto palermitano senza alcuna concreta aspettativa di sopravvivenza, lui mio figlio Giuliano, nonostante tutto ottimo studente al 5° anno di un liceo scientifico già pilota e campione di enduro con un grande sogno che rischia di infrangersi a causa della mia malattia. È già da alcune settimane, che penso di scrivere. Poi i dolori, l’abbandono agli effetti dalla morfina, le lunghe visite dei parenti ed amici, le letture per distrarmi…tutto ciò me lo ha impedito. E così sono arrivato fino ad oggi, superando ormai le mie aspettative di vita di oltre un anno. La mente ha un gran potere, sul corpo”.
Il corpo alla fine ha vinto le uniche tristi battaglie che può vincere, abbandonando la guerra della speranza. Fabio ha seminato , nella sua malattia, la capacità di guardare oltre. I suoi occhi sono rimasti sulla pista per sorvegliare che si compia il progetto della felicità e che Giuliano Giambruno diventi un nome glorioso nello sport che ha scelto come metafora del suo coraggio. Fabio è morto e le cose sono andate avanti. Alcuni sponsor si sono proposti per il suo ragazzo. Al tempo stesso si è sviluppata una rigogliosa gara di solidarietà per il sostegno alla ricerca sul tumore del pancreas, il male che ha ucciso l’architetto Giambruno sul confine dei cinquant’anni. A breve vi forniremo i dati utili.
Accanto a un uomo straordinario c’è una donna splendida e ci sono persone speciali che ne hanno condiviso la missione. Francesca Mandalari è una cantante jazz, nel segno zodiacale della passione, lavoro a parte. Il jazz ha un suo ritmo dell’anima, il suo suono. Ed è semplice immaginare una moglie jazz accanto a Fabio, pronta a sussurrare una melodia per coprire il silenzio. Racconta, accompagnata da suo fratello Manlio, in visita alla redazione di Livesicilia (un altro fratello, Giuseppe, segue tutto da Siracusa): “Mio marito ha fatto in modo di starmi accanto anche dopo. E lui sapeva come. Sono andata dal suo meccanico di fiducia, per un problema. Mi ha detto: ‘Ti aspettavo. Fabio mi aveva spiegato che saresti arrivata. Ti ha affidata a me. Io sono qui per qualunque problema”. E lo stesso è accaduto con gli operai della vecchia società. “Sono stati al funerale. Hanno la nostra età. Eppure avevano una sola parola: ‘Il dottore Giambruno è stato come un padre, conti su di noi”. E anche Manlio racconta: “Forse sono solo coincidenze. Eventi che ti appaiono meravigliosi e invece sono ordinari e noi vogliamo incastonarli nel prodigio. Però mi capita di comportarmi in un determinato modo. Poi ci penso, mi fermo e rifletto: Fabio voleva che facessi così”.
La concatenazione della semina buona è in moto perpetuo. Giuliano ha dunque ricevuto offerte per le sue gare. Altri si stanno muovendo per la ricerca sul cancro al pancreas. Il mondo del jazz si mobiliterà per la raccolta di fondi. Francesca tira il filo rosso: “E’ come se ci fosse una mano invisibile che si muove per il bene di tutti”.
E chissà se è così. Chissà se Fabio somiglia a quel soldato americano, un marine sperduto nel fronte di una guerra crudele, che aveva disseminato per casa bigliettini con una frase d’amore scritta per la moglie. E quando lui non tornò, lei lo cercò e lo trovò in ogni giorno, con una promessa mantenuta di abbracci.
Chissà com’è la storia di Fabio e dei suoi cari vista da un’altezza diversa da qui. Lì dove tutti sanno tutto. Dove non c’è differenza tra la vita e la morte. Tra la vita e la vita.