PALERMO – Quanti “terroni” al potere, fa notare con la consueta cifra di sobrietà e buon gusto Libero. Con un titolo che immaginiamo sarà piaciuto ai suoi lettori sotto la linea gotica. Ebbene sì, rivelando al mondo di saper far di conto almeno fino a quattro, il nordico quotidiano s’è accorto d’un tratto che tre delle quattro più alte cariche dello Stato sono ricoperte da meridionali. E cioè Sergio Mattarella, siciliano, Giuseppe Conte, pugliese, e Roberto Fico, campano. Non accadeva da un pezzo, in effetti. Perché come probabilmente confortava di più Libero, per anni e anni l’Italia non aveva avuto un presidente del Consiglio meridionale. Conte è il primo premier nato a sud di Roma dai tempi di Ciriaco De Mita. Era il 23 luglio del 1989 quando spirava il governo guidato dal democristiano di Nusco, “intellettuale della Magna Grecia”. Ci sono voluti quasi trent’anni perché un “terrone” tornasse a Palazzo Chigi. Troppo pochi forse per Libero, ma tant’è. Prima di De Mita, nell’Italia repubblicana i presidenti del Consiglio meridionali si erano comunque contati sulla punta delle dita: erano stati Giovanni Leone, campano, per meno di un anno complessivamente in due diversi governi, Mario Scelba, l’unico siciliano, Antonio Segni, che era di Sassari, e il pugliese di Maglie Aldo Moro, con cinque governi. Sei meridionali su ventinove presidenti del Consiglio. Sì, perché lì dove davvero si comanda, a Palazzo Chigi, i meridionali in realtà raramente mettono piede. È andata meglio al Quirinale. Su dodici presidenti, sei sono nati a sud di Roma: il palermitano Sergio Mattarella, i napoletani Enrico De Nicola, Giovanni Leone (che sdoganò con napoletana facezia il gesto delle corna) e Giorgio Napolitano (Re Giorgio, l’unico che fatto il bis), i sassaresi Francesco Cossiga e Antonio Segni.
Quanto alle due camere, ammesso che i presidenti delle camere “comandino” come scrive Libero, va detto che Fico è il primo meridionale a ricoprire la carica dal 1994 quando terminò il mandato di Napolitano. A Montecitorio, in realtà, i “terroni” non hanno “comandato” quasi mai, escluse le due citate eccezioni e la presidenza di Giovanni Leone. Quanto a Pietro Ingrao, visto che era nato in provincia di Latina, forse l’etichetta à la Libero di terrone per lui è controversa (dove comincia esattamente la Terronia?), ma decisiva in quel caso potrebbe essere la sua ascendenza sicula, aveva avi di Grotte. Meglio i “terroni” al Senato. Che tra gli altri è stato presieduto negli anni della Repubblica in ordine cronologico da De Nicola, dal dimenticato palermitano Giuseppe Paratore, liberale, dal lucano Tommaso Morlino (ma solo per sei mesi), Francesco Cossiga, Nicola Mancino, democristiano campano, Franco Marini, abruzzese (ma volendo essere pignoli, nato leggermente a nord di Roma, esattamente a San Pio delle Camere), fino all’intero decennio palermitano delle presidenze consecutive di Renato Schifani e Piero Grasso. Otto su ventidue nell’era repubblicana, niente male.
Ma comandano davvero questi “terroni”? Il dubbio resta. Soprattutto se si guarda agli ultimi anni. Prendete il Partito democratico, per esempio. Da quando è nato non ha mai avuto un segretario meridionale. Ma nemmeno un vicesegretario. E nemmeno un presidente del partito. E nemmeno un segretario organizzativo. Tutte e quattro queste cariche dal 2007 anno di fondazione dei dem, non sono mai state ricoperte da una persona nata a sud della Capitale. In fondo la stessa musica è suonata più o meno altrove. Con l’eccezione del campano Luigi Di Maio, formalmente a capo del movimento di un milanese e di un genovese, di leader politici meridionali in giro in questi anni se ne sono visti pochi. Il centrodestra è stato governato per lunghissimi anni dal milanese Silvio Berlusconi, circondato da altri capi partito settentrionali (Fini e Casini, bolognesi, Bossi, lumbard a capo di quel partito i cui esponenti tra un’esortazione all’Etna e un incoraggiamento al Vesuvio teorizzavano la scarsa confidenza dei meridionali con la carta igienica). L’unico leader meridionale di quell’area politica fu il siciliano Angelino Alfano, e si sa come gli è finita. Il peso del Sud nelle scelte del Palazzo, in fondo, si pesa guardando ai dati relativi agli investimenti pubblici nel Mezzogiorno, che nel 2017 hanno raggiunto il loro minimo in quindici anni, sostanzialmente dimezzati rispetto ai primi anni 2000 (dati Confindustria-Srm). Altro che “comandare”…
E allora, la domanda resta: comandano davvero questi “terroni” o qualcuno sta semplicemente preparando già la narrazione di un alibi per giustificare un fallimento prossimo venturo?