Mettiamo da parte il linguaggio burocratico. Anzi, giuridico. L’Anm di Catania chiede al procuratore della Repubblica etnea di farsi da parte e Vincenzo D’Agata risponde: “Neanche per idea. Resterò al mio posto fino al 27 febbraio 2011, giorno in cui scadrà il mio mandato e dovrò lasciare l’incarico per limite di età” . E rincara la dose: “Non basta il deliberato di quattro persone che non conoscono i fatti e fanno un processo sulla lettera di un collega che aspira al mio posto”.
Il riferimento di D’Agata è al valzer di nomi che si è aperto per la successione. Quello del sindacato dei magistrati catanesi è invece rivolto alle vicende che vedono il magistrato indagato a Messina. L’ipotesi è abuso d’ufficio. Al centro dell’inchiesta il pagamento di somme dovute alla moglie e alle cognate del procuratore D’Agata dal Comune di Catania, che non pagava l’affitto perché senza fondi. L’episodio faceva parte del fascicolo sul buco in bilancio in cui sono confluite alcune intercettazioni approvate proprio da D’Agata.
Secondo la ricostruzione dell’accusa, da Roma furono inviati dei fondi al Comune, ma sarebbero stati non vincolati, per fare fronte all’emergenze affitti dei locali per uso giudiziale, come il palazzo che ospita il Tribunale per il lavoro di via Verona, di cui è proprietario un cugino del magistrato. Per questo D’Agata avrebbe preso contatti con il ragioniere generale del Comune Francesco Bruno, per “evitare l’aggressione” dei fondi. Tra i pagamenti effettuati anche quelli dei locali affittati dalla moglie e dalle cognate del procuratore al Comune, che sarebbero stati sbloccati anche a fronte “della rinuncia di una parte consistente del credito”.
Sempre secondo l’accusa, Bruno per potere disporre il pagamento, avrebbe dichiarato il falso. Ora l’Anm in un documento di tre giorni fa “auspica che il Procuratore della Repubblica, prendendo atto degli attuali sviluppi della vicenda in sede processuale e manifestando la necessaria sensibilità per i relativi profili istituzionali, adotti autonomamente le opportune determinazioni nel superiore interesse dell’ufficio”. In parole povere gli chiede di fare un passo indietro. D’Agata non ci sta e rilancia: “Ho chiesto io il giudizio immediato per fare chiarezza. Il processo è stato fissato alo 25 gennaio. Non ho altro da aggiungere”.