“La sua umiltà e il suo lavoro esemplare”. E’ il ricordo lasciato da Mario Bignone, capo della sezione catturandi della squadra mobile, ai “suoi ragazzi” che lo dipingono con parole che vanno oltre il semplice rapporto lavorativo: “Un grande uomo, un grande esempio e un grande amico”. Qualcuno ha preferito non dire nulla, convinto che Mario Bignone si meriti molto di più che un paio di frasi lasciate scappare via dal dolore.
Il vicequestore era malato da tempo. Ciò nonostante “non si è mai fermato, non si è fermato fino alla fine. Ha fatto cose che nessuno avrebbe fatto al posto suo” dice uno dei suoi. A testimoniarlo la cattura di Domenico Raccuglia e di Gianni Nicchi, avvenute nel novembre e nel dicembre 2009. “I vostri archivi sono pieni delle cose che ha fatto” dice con orgoglio uno degli uomini che con lui ha vissuto, ha faticato e ha imparato.
“Purtroppo non ho lavorato a stretto contatto lui” racconta, invece, un giovane ausiliario della catturandi. “Ero un semplice agente, poi mi ha chiamato lui e mi ha chiesto di collaborare con la squadra”. Anche chi non lo conosceva direttamente e afferma “di non aver avuto l’onore di lavorare con lui”, è venuto a salutarlo nella camera ardente, nei pressi della squadra mobile. In fondo all’ampia sala il suo cappello, poggiato sulla bara. Accanto le foto del vicequestore scorrono, proiettate su un telo bianco, come a colmare il silenzio tutto intorno.
Presenti anche i ragazzi di Addiopizzo. “Abbiamo collaborato prima che entrasse nella catturandi, portavamo da lui i commercianti che denunciavano il pizzo” raccontano , “ma il rapporto con lui non si era mai interrotto, continuavamo ad incontrarci”. Tra i ragazzi della “sua” squadra molti hanno preferito tacere per il momento, chiedendo di poterlo ricordare a parole magari tra qualche giorno. “Tutte le persone che si trovano qui. Basta questo. Non è un dolore di facciata, perché sapeva essere essenzialmente un amico”.