PALERMO – Antonino Abbate era in aula. Imputato di estorsione. È detenuto da tempo. Ammesso che ci si possa abituare al carcere c’è da chiedersi cosa cambi nella mente di un detenuto quando si profila il rischio di restare in cella per un tempo infinito. In Italia vale la presunzione di non colpevolezza per tutti gli imputati. Anche per i mafiosi e i presunti tali. Da ieri Abbate, considerato il capomafia del clan di Borgo Vecchio, è indagato per l’omicidio di Enzo Fragalà. Sarebbe stato lui a dare il via al pestaggio mortale. “Iddu è”, avrebbe detto appena vide il penalista scendere dal suo studio, in via Nicolò Turrisi, scatenando la violenza degli aggressori.
Era l’unico in aula ieri Abbate. I suoi coimputati, Francesco Castronovo e Salvatore Ingrassia, avevano rinunciato a partecipare all’udienza. E così, mentre un carabiniere notificava in carcere ad entrambi la nuova ordinanza di custodia cautelare, un altro militare si è presentato nell’aula 19 del nuovo Palazzo di giustizia. In un momento di pausa ha chiesto al giudice Lorenzo Matassa il permesso di avvicinarsi all’imputato, fino ad allora impegnato a prendere appunti.
Pare che Abbate abbia farfugliato qualcosa per dire, in soldoni, “ce l’avete sempre con me”. Ha pensato di rifiutare la notifica della nuova ordinanza di custodia cautelare. Impossibile. Poi, quando ha capito di cosa si trattava, si è seduto. Provato in volto. In aula è calato il gelo. La tensione dei parenti si è fatta palpabile.