Quale pezzo di anima rimane intatto al capolinea del dolore che non ha ricevuto giustizia? Resta la porta che richiudi dietro le spalle, mentre respiri la serenità mesta della tua casa. Sei cambiato, ormai. Ti sembra di avere perduto la felicità di sempre. Ogni cosa, che appariva salda, si presenta instabile. Ma non è così. E’ solo la luce del rimpianto che riflette frammenti amari nella nera didascalia dell’abbandono.
Come ti senti, se sei un parente di Daniele Discrede, commerciante assassinato il 24 maggio di tre anni fa – tre anni, proprio oggi – davanti alla figlia bambina e non hai mai saputo il nome di chi l’ha portato via.? Può accadere, a Palermo, come altrove. Ti chiamano, di notte, ti comunicano che un fratello, un figlio, un compagno si trova in ospedale. Arrivi e scopri che è morto. E può succedere – succede, purtroppo – che non ci sia mai un responsabile, per i più svariati motivi, nonostante l’impegno. Succede, sì, ma poi come stai tu che hai dovuto pronunciare il tuo addio nell’ora che non ti aspettavi?
E sei una madre. Quel figlio – Daniele – lo hai cresciuto con i baci e una saggia miscela di cucchiaia e tappina per stemperare i suoi spiriti bollenti. La sera, non rientrava mai all’orario stabilito. Aveva un pallone su un prato palermitano di terra battuta e cocci – solo nei sogni dei bambini di qui i campetti liberi dell’infanzia recano il verde nel cuore – e lo inseguiva con la criniera al vento, con la furia degli adolescenti che hanno tutta la vita davanti, ma vivono ogni minuto come se fosse una vita intera. E tu – mamma – te ne stavi lì a guardare tuo figlio, laggiù, mentre si confondeva col rosso acceso del tramonto. Era un’ombra, Daniele. E dentro avevi la dolcezza di averlo, con l’amarezza di doverlo lasciare, un giorno. Ma non così. Tu credevi che saresti sparita per prima, come qualcosa di trasparente che scende le scale – non lo vedi e sai che c’è – con l’attimo di un saluto accennato. E invece è andato via lui, in una notte di quasi estate. E tu sei rimasta davanti alla finestra che si sporgeva su quel tramonto, senza più preghiere, senza più frasi di richiamo, senza più sguardi.
E sei un padre. Daniele era il vento che spalancava le porte. Un po’ ti piaceva. Un po’ qualche schiaffo dovevi darglielo per minimo sindacale di paternità. Ma quando uscivate insieme col camion, per lavorare, ti pareva di avere al fianco un altro te stesso, più giovane. Uno specchio magico per ritornare indietro. E, certo, quell’impeto dovevi frenarlo. Daniele era impulsivo, aveva mani come pale di mulino. Una volta, due malcapitati pensarono di rapinarvi. Scapparono malconci, chiedendo la grazia di non prendere altre botte.
Anche nella sua ultima sera, Daniele Discrede era convinto che avrebbe avuto la meglio. Per questo, si slanciò con la moto, come un cavaliere con il cavallo, addosso ai malviventi che l’avevano sorpreso fuori dal suo negozio. Spuntò una pistola. Qualcuno sparò.
E sei una sorella. Sei mamma pure tu. Il tuo lutto è come raddoppiato. Hai perso un fratello e ti chiedi: come sarà per mia madre avere perduto un figlio? E quasi lo sai, lo percepisci, nella tua carne. Soffri di più.
E sei un fratello. Con tuo fratello Daniele hai condiviso chilometri di partite fino alla più estrema goccia di sudore, epopee infinite, fatiche innominabili. Solo quando sei morto, esci fuori dal campo: era il motto dei ragazzini degli anni Ottanta che si sfidavano a colpi di folgore e fantasia su uno di quei campetti clandestini di fianco a una finestra, lassù dove c’era l’ombra di una madre.
E facevi finta di non ascoltare il suo richiamo, la voce che intimava il ritorno a casa. Avevi i tuoi sogni da inseguire, i tuoi idoli. Chi era Platini, con le sue punizioni arrotate. Chi era Socrates con le sue magie di tacco. Chi era Paolo Rossi, rapace sotto la rete. Chi era soltanto se stesso. Ora, quanto daresti per tornare a casa, col pallone sottobraccio, con le scarpette bullonate in mano?
E sei un fratello. Il ragazzo che correva con te l’hanno ammazzato. Tu raccogli i cocci. Organizzi l’organizzabile. Per esempio, per stasera, hai messo in piedi una manifestazione che è tutto un programma di amore e rimpianti: “Rompiamo il silenzio”. In via Roccazzo, dalle otto, sul luogo dell’omicidio, accorreranno in tanti. Ci sarà Salvo Piparo – genio di Palermo – con una orazione per Dani, per la memoria e per le lacrime, a concludere la fiaccolata che avrà inizio dalla chiesa di piazza Passo di Rigano.
E ci sei tu, ancora tu, sempre tu, a reggere l’impatto, la partita col dolore. Con la tua anima in pezzi. Ogni anno è più faticoso, più sfibrante. Ogni anno ti chiedi, se ne valga la pena. Se valga la pena di essere come sei, te stesso, uno che crede nella giustizia e nell’onestà. Se questa sia una città per uomini o per ombre. Poi, torni a casa. Chiudi la porta alle tue spalle. Guardi negli occhi coloro che ami, che ti amano, che non smetteranno mai di amarti. La risposta la avverti, prima ancora di capirla: non è arrivato il tempo del tramonto. Non ancora, fratello.