PALERMO – Dovrà pagare settecento mila euro per avere dato il via libera ad un appalto “sproporzionato e troppo costoso”. La sezione d’appello della Corte dei conti ha condannato Corrado Failla, ex direttore generale dell’Azienda sanitaria locale 8 di Siracusa. La sentenza è definitiva. L’appalto che ha provocato il danno erariale fu quello per l’adeguamento degli impianti e delle procedure di prevenzione e sicurezza, la cui regolarità era stata già stata contestata da alcuni funzionari dell’allora Ausl e dalla Cgil Funzione pubblica.
A fare le pulci alla gara fu la Procura regionale della Corte dei conti. Per assegnare il servizio furono spesi oltre 3 milioni di euro per un anno. Molto di più dei 650 mila che, ad esempio, furono investiti all’azienda sanitaria di Caltanissetta.
Nel mirino del pubblico ministero Gianluca Albo era finita la delibera con la quale, il 22 maggio 2003, Failla avviò la gara a licitazione privata sulla base del capitolato predisposto da un consulente esterno, l’ingegnere Umberto Vanella. Un anno dopo la gara venne aggiudicata al raggruppamento temporaneo d’impresa costituito da Sintesi spa di Roma, Antema srl e Tsr Engineering srl di Milano per 2.712.793 euro. Le successive indagini del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Siracusa accertarono la sproporzione della spesa.
“Failla ha indetto la gara senza alcuna verifica di congruità ed economicità della base d’asta il cui ammontare risultava ingentissimo in relazione all’oggetto e alla durata del contratto di appalto – sosteneva l’accusa -. L’oggetto del contratto non presentava alcun profilo di alta specializzazione e neppure l’impiego di risorse umane e materiali ingenti e rilevanti”. Ed ancora il pubblico ministero sottolineò “come la semplice verifica di confronto con le altre aziende dell’Isola avrebbe rivelato l’irragionevole sproporzione tra l’oggetto e la durata dell’appalto e la remunerazione del medesimo. In primo grado Failla era stato condannato a pagare seicento mila euro.
In appello l’ex direttore si è difeso sostenendo che il lavoro “sarebbe stato molto più complesso ed articolato di quello prospettato”. E poi la differenza dei costi fra le diverse era dovuta “allo stato in cui versavano gli immobili di ciascuna di esse e della rispondenza e completezza delle opere ivi realizzate rispetto alla disciplina della materia”.
Tesi che non hanno convinto la sezione d’appello (presidente Salvatore Cilia, estensore Luigi Pagliaro) che ha aumentato la pena: il danno erariale da pagare passa da seicento a settecento mila euro.