“Spazzacorrotti”, prescrizione e peculato. Il “Ddl Anticorruzione” è senza dubbio uno dei protagonisti della scena politica, in questo ultimo scorcio di 2018. La sua traversata parlamentare sta mettendo a dura prova la maggioranza sia al suo interno che nei rapporti di prova con l’opposizione. Basti pensare che, su un emendamento collegato, il governo è andato sotto alla Montecitorio, dove i numeri di M5S e Lega sono tutt’altro che risicati. Ma al netto degli scontri e dell’impasse, il premier Giuseppe Conte resta fiducioso sul disegno di legge messo a punto dal suo Guardasigilli Alfonso Bonafede: “Lo approveremo entro la fine dell’anno” ha ribadito il primo ministro, lasciando intendere una ritrovata concordia fra i partiti di governo. Il Ddl ha infine avuto il placet definitivo dalla Camera, dove è stato approvato ieri con 288 voti favorevoli e 143 contrari.
“Ddl Anticorruzione”. Cosa contiene? Fra le novità che il testo vorrebbe introdurre ci sono le cosiddette misure “spazza corrotti”: si dispone l’impiego di agenti sotto copertura a cui spetterà proporre tangenti a funzionari della pubblica amministrazione per poi incastrarli. Previsti anche il Daspo, l’allontanamento dai pubblici uffici da 5 a 7 anni per i dipendenti colti in flagrante e agevolazioni penali per chi confessa crimini non ancora oggetto di indagine. Particolarmente discusso, inoltre, il punto che obbligherà coloro che faranno donazioni a favore di partiti, associazioni, fondazioni o altri organismi politici, a uscire dall’anonimato.
Il nodo della prescrizione. Ma la spaccatura più significativa grazie alla riforma della prescrizione proposta dal M5S: i pentastallati intendevano bloccare la possibile decadenza dei reati, già dopo il primo grado di giudizio. Una possibilità che ha visto contrapporsi a distanza il ministro della Giustizia Bonafede e quello delle Pubblica Amministrazione Giulia Bongiorno. Alla fine, l’accordo è stato comunque trovato: la riforma entrerà in vigore nel 2020, dopo che il governo avrà messo mano anche alle regole del processo penale.
Ammorbidite le pene per il peculato. Il reato riguarda la punibilità di un pubblico ufficiale o incaricato, che si appropria di denaro o altri beni, di cui può disporre nell’esercizio del proprio incarico. Già in commissione giustizia alla Camera, la Lega avrebbe voluto smussare la consistenza dello stesso reato, ma l’emendamento venne bocciato dal M5S. Una modifica simile è poi arrivata in aula dall’ex grillino Cateno Vitiello, che è riuscito a farlo approvare, mettendo in minoranza il governo: ““Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, salvo che tale distrazione si verifichi nell’ambito di procedimento normato da legge o regolamento e appartenga alla sua competenza, è punito con la reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi”. Indiscrezioni affermano che il sostegno al provvedimento sia arrivato grazie a 36 parlamentari leghisti, che hanno agito grazie al voto segreto.