Per due volte ha trovato la colla attack nei lucchetti e nelle serrature della saracinesca, quando parte del gazebo esterno è stato dato alle fiamme Salvatore Albicocco, titolare dei tre bar palermitani, non ne ha potuto più e ha denunciato tutto alla polizia. Nel giro di un mese si sono concluse le indagini e la sezione criminalità organizzata della squadra mobile di Palermo ha arrestato Giuseppe Mignosi, 35 anni, e Pietro Manzella, 39 anni, con l’accusa di estorsione aggravata dal favoreggiamento a Cosa nostra.
Tutto sarebbe cominciato – stando alle ricostruzioni degli inquirenti- nel mese di febbraio quando, alla vigilia dell’apertura del nuovo locale di corso Calatafimi,qualcuno aveva riempito di colla attack i lucchetti del bar di viale Regione Siciliana. Il 20 febbraio va, invece, in fiamme il gazebo esterno dello stesso locale. Albicocco sporge denuncia, contatta l’associazione antiracket “Libero Futuro”, e gli uomini della sezione criminalità organizzata, coordinati dal pm della Dda Roberta Buzzolani, riempiono di cimici e videocamere i locali.
Durante i primi giorni di marzo Albicocco riceve altre visite, in occasione di questi incontri gli vengono avanzate le richieste: l’installazione di macchinette illegali per il gioco d’azzardo e il pagamento di somme di denaro per il pizzo. Richieste accompagnate da minacce piuttosto esplicite: “I danni sono stati pochi, ma fra qualche giorno saranno più gravi, e tu hai moglie e figli”, si sentiva dire Albicocco dai presunti estorsori. Un altro incontro tra i due esattori e la vittima era previsto per il 4 marzo, incontro che, però, salta. Così il 18 marzo Albicocco denuncia i suoi estorsori, li riconosce in foto, facendoli arrestare con l’accusa di tentata estorsione con l’aggravante di aver favorito Cosa nostra.
Il comitato Addiopizzo tiene a sottolineare che la decisione di denunciare non è avvenuta in solitudine. “La collaborazione dell’imprenditore, accompagnato dalle nostre associazioni sin dal momento in cui ha maturato la decisione di collaborare, ha reso più celeri ed efficaci le indagine condotte dagli inquirenti” scrivono le due associazioni. “Da tempo registriamo segnali di insofferenza profonda tra gli imprenditori che per anni hanno subito l’imposizione del pizzo – continua la nota – ed è proprio su questa nuova consapevolezza che abbiamo fatto leva per infondere più fiducia nelle istituzioni e nella possibilità di liberarsi dal giogo del racket. Tuttavia ribadiamo l’invito alla denuncia di massa e collettiva che riteniamo sia il modo più efficace e sicuro per sconfiggere il racket delle estorsioni”.
Il presidente dell’associazione antiracket “Libero Futuro”, Enrico Colajanni, stigmatizza inoltre il comportamento della stampa, nel fare nome e cognome dei denuncianti. Una cosa che innesta una “paura legittima” in chi denuncia. “Finché si può, ovvero fino a quando non si giunge in tribunale, si potrebbe evitare di fare nomi, così si darebbe una mano al nostro lavoro”.