Diamo un nome al clochard | bruciato vivo a Mondello - Live Sicilia

Diamo un nome al clochard | bruciato vivo a Mondello

Storia di un corpo senza identità
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Io ricordo le facce di tutti i barboni che hanno incrociato la mia strada, per mestiere e caso. Ma nessuno di noi conosce il viso devastato di un barbone arso vivo a Mondello, mentre si scaldava. Lo chiamavano – pare – l’uomo dei cani. Io ricordo lo spavento del clochard che si addormentò una notte nella mia macchina, scambiandola, a ragion veduta, per una carcassa rottamata. Ricordo le bende di Amhed che agonizzava in un angolo alla Missione Speranza e Carità, circondato dalla pietà dei suoi fratelli. Ricordo la prima volta che incontrai Biagio Conte, ero un ragazzino sospettoso, un cronista in erba pieno di pregiudizi. Non andò bene. Poi i rapporti sono migliorati. 
Biagio Conte è un segno di evidente contraddizione a Palermo. Molti non lo amano, sostengono, preferibilmente di nascosto,  che sia un impostore, un furfante della bontà. Alcuni colleghi giornalisti sibilavano negli anni passati: “Bisognerebbe mandargli i carabinieri”. Altri lo venerano come santo, si inchinano al suo passaggio, gli baciano un lembo della veste. Fratel Biagio – così lo chiamano – è solo un uomo solo con gli occhi azzurri. Ha pregi e difetti. E’ generoso, ma collerico. E’ buono, ma impetuoso. Se lo guardi negli occhi, senti che c’è una luce accesa dentro da qualche parte e non si può sbagliare, è fede o buona follia. E’ che siamo anche noi piccoli uomini. Accettiamo con gioia l’idea perfida del sotterfugio nascosto dietro il donarsi, non crediamo nemmeno a noi stessi. Oppure abbiamo bisogno della mitizzazione senza requie, consideriamo la gentile tenerezza tra gli uomini l’affare celeste di un altro mondo.

Abbiamo lanciato una raccolta di fondi per Biagio, uomo tra gli uomini. Sono venuti fuori i mestieranti del sospetto: chissà che c’è dietro. Si sono esibiti i professionisti dell’indignazione facile: è una vergogna che alla Missione venga inviata una cartella Tarsu, ribellatevi, non pagate. Sì, è un vergogna. Intanto chi ci pensa al pane dei disgraziati? Non intendiamo scandalizzare il cinismo o la santità di nessuno. Mettiamo in campo un atto concreto, a Palermo, città dalle magnifiche intenzioni e dalle concretissime macerie. E chi vuole chiacchierare, chiacchieri liberamente.

Il rovello vero è un altro. Non so la faccia del clochard bruciato come un pezzo di carta a Mondello, sul finire di novembre. E’ una storia che tanti avranno dimenticato. E’ la trama di una grotta annerita dal fumo, ai piedi della montagna, con dentro un cadavere ormai spento accanto al fuoco acceso per proteggersi dal freddo. A quasi un mese dall’evento, nessuno ha reclamato il corpo. Nessuno si è fatto avanti per pronunciare un nome. Il mio taccuino non lo sopporta. La mia penna e i miei fogli, vogliono conoscere. Sono abituati ad annotare ogni emozione, ogni lineamento, ogni parola. Senza di loro, il mio cammino di creatura sotto le stelle sarebbe spento prima di cominciare al mattino. Un uomo senza viso né nome si trasforma in cosa. Diventa un frammento indistinto, senza dignità umana.
Perciò lancio un appello personale. Se qualcuno sa, parli. Riveli quella carta d’identità smarrita, spieghi quei passi. Palermo è già una città in crisi di umanità. Non dobbiamo portare inchiodata nella coscienza collettiva, insieme a tutti gli altri chiodi,  la croce di una cosa che fu uomo. Ne va della nostra stessa vita e del nostro cuore. Il nome di quest’uomo che non era una cosa ha più valore del dibattito sulle elezioni a sindaco. Potrebbe salvare quello che resta della nostra anima impaurita che non scende più in strada.


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