Le cronache più o meno recenti, dopo attente riflessioni, mi hanno portato a concordare con un collega, Pasquale Profiti, che in passato ha sostenuto che un esponente politico – amministrativo non si debba dimettere solo per avere ricevuto un’informazione di garanzia. E nemmeno dopo solo una richiesta di rinvio a giudizio, se la legge lo consente.
Egli, a mio avviso correttamente, ha osservato che le dimissioni dovrebbero essere legate ai fatti, fatti narrati senza nessuna censura da una stampa libera ed indipendente.
Spetterebbe poi, ma non a corrente alternata a seconda della casacca indossata dal pubblico amministratore /politico, ad un’opinione pubblica adeguatamente preparata (con esclusione degli ultras dell’una o dell’altra fazione) trarre conclusioni da quei fatti. Ed avanzare richieste che, sempre con metodi democratici, i cittadini e le cittadine, i gruppi di opinione, gli esponenti politici, i partiti rivolgono a quell’esponente ed a chi lo sostiene.
“Bisogna distinguere”
La scelta delle dimissioni a volte dovrebbe essere fatta indipendentemente dall’esistenza di un procedimento penale e dal suo esito, per il bene dell’istituzione che si rappresenta. Altre volte si potrebbe restare al proprio posto anche in presenza di un procedimento penale e, non ci si stupisca, finanche in caso di condanna. Sempre che la legge lo consenta, in relazione al reato contestato.
Bisogna infatti distinguere.
Un corrotto può essere assolto per una formalità che non esclude la tangente che lo squalifica. Un amministratore può aver apposto una firma “sbagliata” su un atto assunto per il bene della collettività e meritare lo stesso la conferma della fiducia dei concittadini che vorranno ridargliela.
Ogni situazione fa storia a sé, e bisognerebbe saper distinguere – come si suol dire – il grano dal loglio. Deve essere la legge – e solo quella – a stabilire i casi specifici in cui una condanna, definitiva o no, deve comportare l’interdizione dai pubblici uffici e, per il resto, lasciare libertà di scelta, aprendo all’indignazione o all’accettazione dei cittadini.
“Non è una democrazia matura”
Purtroppo forse non viviamo in una democrazia a tal punto matura. E poiché questa maturità manca, tutta la pressione cade sul procedimento penale, sulla magistratura, sulla presunta politicizzazione della stessa, sull’inutile separazione delle carriere.
Basti solo pensare al numero sproporzionato di esposti (anche anonimi) che quotidianamente pervengono negli uffici delle procure e sui cui contenuti ci sarebbe tanto ma tanto da scrivere…
Ed, infine, occorre dire chiaramente che il Parlamento dovrebbe assumersi la responsabilità politica di non farsi processare, reintroducendo l’immunità parlamentare.
Gli elettori valuteranno. I magistrati potranno svolgere così il loro lavoro in santa pace, senza essere tirati per la giacca con le accuse di giustizia ad orologeria, di essere politicizzati ovvero un giorno tacciati di essere toghe rosse ed un altro di colore diverso.
Forse, sottolineo il forse, così il clima infuocato si raffredderebbe (ma non mi illudo più di tanto…).