Palermo, dipendente Amia "collettore" del pizzo imposto a tappeto

Dipendente Amia e pizzo: a Palermo manca “un sussulto di dignità”

La lista del pizzo trovata a casa di Giuseppe Auteri
Un giovane disse: "Non c'è futuro in Sicilia".

PALERMO – “Un mondo imprenditoriale massicciamente infiltrato ed inquinato dal sodalizio mafioso, interamente permeato di logiche mafiose, secondo cui chi denuncia è sbirro, culturalmente asservito alle stesse, che mostra obtorto collo di condividere nel tentativo di andare esente da danneggiamenti e ritorsioni, piegandosi con grandissimi sacrifici alla necessità di sborsare soldi per mantenere l’organizzazione e le famiglie detenuti, in definitiva refrattario ad ogni sussulto di dignità”.

Sono durissime le parole usate dal giudice per le indagini preliminari Claudia Rosini, in una delle ordinanze di custodia cautelare sfociate nel maxi blitz antimafia dei giorni scorsi. Si tratta della parte che ha ricostruito diciotto estorsioni, tentate o consumate, contestate alle famiglie mafiose di Porta Nuova, Noce e Cruillas.

“Mettiti in testa… se escono i lupi… questi di qua verranno pure se tu stai facendo una cazzuolata di calce”, dicevano. L’accelerazione della macchina del racket sarebbe stata una delle prime conseguenze della scarcerazione dei vecchi boss.

Dipendente Amia “collettore” del pizzo

La figura chiave dell’inchiesta viene individuata in Alfonso Di Cara, fratello del noto pregiudicato mafioso di porta Nuova, Giuseppe (recentemente scarcerato), dipendente dell’Amia, l’azienda che raccoglie e smaltisce la spazzatura a Palermo, ma di fatto imprenditore edile da anni.

Sarebbe stato lui ad indicare ai referenti mafiosi dei due diversi mandamenti i soggetti che avevano aperto o stavano per aprire i cantieri e a veicolare la richiesta estorsive. Pagare il pizzo era stata e doveva continuare ad essere un’abitudine. Come si spendono i soldi per pacchetto di sigarette o di caramelle così doveva essere per la tassa mafiosa. Pochi euro da mettere da parte, ogni giorno, per soddisfare la richiesta dei boss.

“Non c’è futuro in Sicilia”

Nessuno o quasi si è ribellato. Solo in un caso un giovane che voleva aprire un negozio di frutta e verdura disse amaramente al padre: “Non c’è futuro in Sicilia”. Il pizzo è un “collante di degrado civile e morale”. C’è chi paga perché l’aiuto mafioso gli fa comodo. Un imprenditore edile, da sempre considerato connivente, si serviva dei mafiosi per silenziare i dipendenti che avanzavano pretese.

Titolari di supermercati e parcheggi, panifici e pollerie, commercianti di prodotti di carta e articoli per la casa: nessuno si sottrae al pagamento. Anche se gli affari vanno male: “Ti porto le bollette e ti faccio vedere che non ho potuto pagare neanche la luce della casa”, diceva un negoziante che però alla fine ha sborsato i soldi. “Le tasse me le paghi tu?”, provo a obiettare un imprenditore. Niente da fare, anche lui alla mise cedette alle pressioni.

Che sono finiti nelle casse di due mandamenti. Di Cara avrebbe finito per mettersi a disposizione di diversi boss: Pietro Tumminia di Altarello, Daniele Formisano e Paolo Castelluccio di Noce-Cruillas, Calogero Lo Presti, Tommaso Lo Presti il lungo, Tommaso Lo Presti il pacchione, Giuseppe Incontrera. Giuseppe Di Giovanni e Giuseppe Auteri di Porta Nuova.


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