ROMA – Non ha rispettato le formalità richieste perché la sua domanda potesse essere presa in considerazione dal Csm. Così, anche stavolta, Nino Di Matteo,il pm del processo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia,destinatario di pesanti minacce da parte di Cosa Nostra, vede allontanarsi il traguardo che insegue da tempo, quello di lasciare la procura di Palermo per approdare alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo guidata da Franco Roberti. Un anno fa aveva concorso senza successo per tre posti da sostituto nella procura di via Giulia. E l’8 luglio scorso il Tar del Lazio, davanti a cui aveva impugnato la sua esclusione, ritenendo che il suo curriculum fosse stato ingiustamente sottovalutato, gli ha dato torto. Ora per il pm di Palermo arriva la nuova e forse più pesante delusione. Stavolta erano infatti in ballo due posti più prestigiosi: due poltrone da procuratore aggiunto, posti di fresca istituzione, introdotti con l’attribuzione alla procura di Roberti anche del coordinamento sulle indagini sul terrorismo.
A tradire Di Matteo, un passo falso: “non ha allegato alla domanda l’attestazione dell’avvenuta richiesta del parere attitudinale ed ha presentato l’autorelazione senza avvalersi del modulo prescritto nel Testo unico sulla dirigenza”, scrive la Commissione direttivi del Csm spiegando perché la domanda del magistrato è da ritenersi “inammissibile”. Per i due posti di “vice” di Roberti la Commissione non ha avuto dubbi. E ha proposto all’unanimità un pm che lavora già in via Giulia, nel ruolo però di sostituto procuratore, Giovanni Russo, assieme al capo del pool antiterrorismo della procura di Milano, Maurizio Romanelli. Giovedì il voto finale del plenum.