PALERMO – Era sera quando convinse la figlia a prendere la matita per disegnare cosa era accaduto al padre. In aula rivive il dramma del 26 ottobre 2000, quando un commando rapì Giampiero Tocco per poi assassinarlo.
Al processo depone la moglie della vittima e madre della piccola di sei anni che “non riusciva a parlare, era terrorizzata”. Le suggerì di cristallizzare lo choc subito su un foglio di carta bianca. Le scene raffigurate nel disegno sono state arricchite di macabri particolari dal pentito Antonino Pipitone. Simularono un posto di blocco: “Tutti indossavamo una pettorina della polizia e ricordo anche la presenza di un lampeggiante. La macchina era una Fiat Uno rubata. Pulizzi e Ferdinando Gallina si occupavano di fare la staffetta”. Una volta rapito Tocco “siamo quindi andati a Torretta da Angelo Mannino, nella sua abitazione. A casa di Mannino c’erano Salvatore e Sandro Lo Piccolo, i miei zii Vincenzo e Giovan Battista, Angelo Conigliaro, Ferdinando Gallina, Angelo Mannino e Antonino Di Maggio e Gaspare Pulizzi”.
Il racconto si fa macabro: “Tocco venne legato a una sedia per essere interrogato: durante questo interrogatorio rimasero dentro i miei zii Vincenzo e Giovan Battista e i due Lo Piccolo, Damiano Mazzola ed anche i due palermitani che erano stati nella macchina con me”. Tocco, che di mestiere faceva il macellaio, era legato alla sedia, al cospetto del suo carnefice, il boss di San Lorenzo. Lo accusavano di avere attirato in trappola Peppone Di Maggio, figlio del capomafia di Cinisi, don Procopio, alleato con Lo Piccolo.
“Lo sai chi sono io?”, chiese il boss a Tocco. Lui chinò il capo: “Sì e ne sono onorato”. Lo Piccolo gli contestò la partecipazione all’omicidio e il macellaio rispose: “Fu deciso da persone che stanno molto in alto”. Forse alludeva a Bernardo Provenzano che nel 2000 era il capo di Cosa nostra. Totuccio, il barone di San Lorenzo, fu di poche parole: “Tu non hai capito che l’alto sono io”.
Dal racconto della moglie di Tocco, parte civile al processo assieme alla figlia, arriva un riscontro anche sul movente del delitto. Il marito, infatti, in quei giorni era preoccupato e ripeteva di temere di essere coinvolto nelle indagini sulla morte di Di Maggio. Non solo, quando andarono a fare visitare alla salma di Di Maggio, la madre continuava a ripetere il nome “Giampiero, Giampiero”, addossandogli delle colpe.
Oltre all’omicidio Tocco, il processo riguarda i delitti Antonino Failla, Francesco Giambanco e Giuseppe Mazzamuto. Gli imputati sono Vincenzo e Giovanbattista Pipitone, Salvatore Cataldo e Antonino Di Maggio. L’accusa in Corte d’assise è rappresentata dai pm Roberto Tartaglia e Annamaria Picozzi.