PALERMO – Concetta Celano. Cinquantacinque anni. Nata a Siracusa, ma residente a Torino. Sarebbe lei la donna dei grandi traffici di droga lungo l’asse Piemonte-Sicilia, la grossista da cui si sarebbero approvvigionati Vincenzo Giudice e Alessandro Alessi, accusati di avere composto, assieme a Massimiliano Perrone, il triumvirato al vertice del mandamento mafioso di Pagliarelli. Tutti e tre sono stati arrestati ieri dai carabinieri nel corso del blitz Verbero.
Tra agosto 2013 e aprile 2014 i militari del Reparto operativo e del Nucleo investigativo hanno monitorato una serie di contatti e ricostruito un viaggio della droga dall’epilogo rocambolesco, con tanto di inseguimento e colpi di pistola sparati in aria.
Giudice avrebbe affidato al suo presunto factotum Matteo Di Liberto (pure lui finito in cella ndr) le fasi esecutive per l’arrivo in città di una macchina di colore azzurro imbottita di droga. Il piano prevedeva che alla guida si mettesse un tale di nome Gianni che, una volta giunto al Porto di Messina, sarebbe stato scortato da Giudice e Di Liberto fino a Palermo.
Di Liberto avrebbe fatto il grande salto. Da coordinatore dei pusher del Villaggio Santa Rosalia a “uomo di fiducia” del capo che avrebbe “posato” altri due indagati: Andrea Calandra e Tommaso Nicolicchia. E così il suo telefono finì sotto controllo. Una serie di sms con la Celano confermerebbe l’affare illecito: “Amore ci sei. Sveglia”; “Ho appena saputo che la macchina e già pronta con 120. E parte con gianni alle 3 quindi domattina come al solito arriva li”; “Ok amore”. Successivamente la Celano avrebbe dato disposizioni a Di Liberto sulla organizzazione della staffetta che da Messina avrebbe dovuto scortare il carico fino a Palermo: “Aspettate a messina e deve essere gente che non conosce. Poi i cellulare non devono rimanere addosso a lui cosi non può attirare subito. Turi parte stasera in aereo e lo aspetta li a. Pa. Si ferma a piazza indipendenza la macchina. Tutto quello che so. Un bacio”. Di Liberto, per la verità, non avrebbe gradito la sfilza di raccomandazioni. La considerava una mancanza di fiducia nei suoi confronti: “Lo so come mi devo muovere non farmi sentire a scuola non dire più niente amore”. Risposta: “Non avevo letto il mess di prima. Scusami ma non ti volevo sottovalutare mi e venuto spontaneo come se dovevo farlo io”. Quasi contemporaneamente Di Liberto avrebbe informato Giudice: ”’Quel discorso cet domani mattina presto e la a me…”.
Inevitabile che partisse la caccia a Gianni, l’autista. Venticinque minuti dopo le 4 del mattino del 27 agosto i militari erano piazzati all’uscita del porto di Messina. Dove notarono due macchine ferme – una Bmw X3 e una Smart – a bordo delle quali c’erano cinque persone. In particolare, Di Liberto e Giudice avrebbero trovato posto nella Smart, mentre a bordo del Suv sarebbe stato identificato solo Francesco Ficarotta (ieri è stato colpito da un provvedimento che lo obbliga a dimorare a Palermo ndr). Un’attesa lunga la loro, testimoniata dal messaggio con cui la Celano tranquillizzava un impaziente Di Liberto: “Tra un po’ viene a trovarmi micio e saprò tutto”. Un quarto d’ora dopo, Giudice, probabilmente dopo avere visto la macchina del corriere, una Passat di colore azzurro, avvertiva gli altri di stare in campana. Pochi minuti dopo le tre macchine avevano imboccato l’autostrada.
Appena superato il casello in direzione Tusa, Ficarotta si era essersi accorto di essere pedinato. E così avrebbe fatto segno segno all’autista della Passat di accelerare. Un messaggio non ricevuto, tanto che Ficarotta sarebbe stato costretto a scendere dalla macchina. A quel punto ci fu l’intervento dei carabinieri che lo bloccarono, dopo avere sparato alcuni colpi di pistola in aria, ma si videro piombare addosso le altre due macchine che riuscirono a fuggire. Alle 10 dieci della stessa mattinata dal telefono di Giudice partiva un messaggio indirizzato ad Alessandro Alessi mentre si trovava a Cefalù, in contrada Ogliastrillo: “Sono a Palermo tutto storto matteo ancora nn si trova poi ci vediamo x adesso c’è caldo”.