Racconta l’Ansa, in uno dei suoi quotidiani lanci dall’orrore: “Due bambini di 6 e 8 anni hanno vegliato per ore la mamma morta durante la traversata in mare. La donna, una trentenne originaria del Mali, è arrivata cadavere a Pozzallo (Ragusa) insieme ad altri 299 migranti e a soccorrerli, nel Canale di Sicilia, è stata la nave “Vos Hestia”. La bambina di 8 anni e il maschietto di 6 sono stati affidati all’Istituto delle suore del Sacro cuore di Ragusa”.
Ed è una cronaca diversa, perché l’immobilismo diventa parola e immagine in quantità e qualità insopportabili. Non è più l’indistinta risacca di una tragedia, centellinata da giornali e tv, che giunge goccia a goccia nelle dimore ovattate della nostra cecità. Qui ci sono le facce dell’innocenza, il pianto della mutilazione, la flebile voce della fragilità meno protetta che c’è: quella dei bambini. Basta alzarsi dalla poltrona di casa e allungare una mano per sfiorarla.
Nel frattempo, l’industria della disperazione non ha dismesso la sua catena di montaggio. A Palermo sono arrivati, nelle ultime ore, altri mille migranti. C’è pure il cadavere di un’altra mamma, con altri figli, altri bambini.
C’è qualcuno che abbia il coraggio di dire basta a questa strage infinita? La pietà di accogliere morti e sopravvissuti non è sufficiente. La generosità senza discernimento è un balsamo per chi riesce ad arrivare, ma è anche il primo ingrediente della catena di montaggio, coordinata da chi trasforma i corpi in soldi e potere.
Nemmeno può bastare la nostra commozione televisiva, la lacrima che, per un attimo, oltrepassa il muro e brucia sulla pelle. Non ci sarà perdono. Queste piccole anime, straziate e distrutte, sono un dito puntato contro la nostra cosiddetta civiltà, contro tutti noi. Nessuno escluso.