ROMA- Giulio Andreotti è morto oggi a Roma all’età di 94 anni. È stata l’agenzia Agi a dare per prima la notizia della scomparsa del più discusso uomo politico italiano del dopoguerra. Il Divo era nato a Roma a gennaio del 1919. E aveva attraversato un secolo di storia italiana, da protagonista. Sette volte presidente del Consiglio, ventisei volte ministro, Andreotti è stato per decenni una delle figure di primo piano della Democrazia Cristiana.
Ironico, intelligente, sagace, Andreotti è stato anche giornalista e scrittore di successo. I suoi libri sono stati per molti anni clamorosi best seller. Le sue battute sono divenute massime di uso comune, come quella celeberrima, secondo la quale “il potere logora chi non ce l’ha” o “a pensare male si fa peccato ma il più delle volte ci si azzecca”.
Cattolico, segretario di Alcide De Gasperi, fu giovane dirigente della Fuci e poi costituente nel 1946. Fu considerato per lunghi anni il politico italiano più vicino al Vaticano. Bersaglio di critiche feroci dalle opposizioni di sinistra, fu però il presidente del Consiglio del governo della non sfiducia che nacque grazie al compromesso storico tra Dc e Pci negli anni di piombo del terrorismo, e poi del governo di solidarietà nazionale che seguì al sequestro di Aldo Moro.
Negli anni ’80 fu ministro degli Esteri di Bettino Craxi. Con quest’ultimo e con Forlani formò un asse di potere noto come “Caf” che resistette per più di un decennio, fino al terremoto politico di tangentopoli, che non lo coinvolse direttamente. Furono però altri, e più gravi, i fatti che gli vennero contestati dai magistrati. In particolare, l’accusa di mafia che gli venne mossa dalla procura di Palermo. Il 2 maggio 2003 era stato giudicato per concorso esterno in associazione mafiosa dalla Corte d’Appello di Palermo, la quale lo ha assolto per i fatti successivi al 1980 e ha dichiarato il non luogo a procedere per i fatti anteriori. Era stato assolto in primo grado, il 23 ottobre 1999. Nell’ultimo grado di giudizio, la Cassazione ha confermato la sentenza di appello, richiamando il concetto di “concreta collaborazione” con esponenti di spicco di Cosa Nostra fino alla primavera del 1980, presente nel dispositivo di appello. Il reato “ravvisabile” non era però più perseguibile per sopravvenuta prescrizione.
Nel 1993 Andreotti venne indagato anche come mandante dell’omicidio del giornalista Mino Pecorelli dalla Procura di Perugia. Fu assolto definitamente da tale accusa dalla Corte di Cassazione nel 2003.
Senatore a vita dal 1991 (nominato da Francesco Cossiga), nel 1992 fu in corsa per il Quirinale, ma lo scontro tra lui e Arnaldo Forlani portò a un impasse sbloccata solo dalla strage di Capaci a cui seguì l’elezione di Oscar Luigi Scalfaro.
Bersaglio prediletto della satira, anche dei vignettisti che “giocavano” sulla sua celebre gobba, Andreotti ha incarnato per mezzo secolo l’immagine stessa del potere. Tra i suoi nomignoli il più celebre resta “Il Divo”, che fu anche il titolo del film di Paolo Sorrentino in cui si ripercorreva la sua vicenda col registro del grottesco. Lo chiamarono anche “Belzebù” e la Volpe. Appassionato di calcio e tifoso della Roma, apparve nei panni di se stesso nel film Il Tassinaro, accanto a un altro simbolo della romanità, Alberto Sordi. (Sa.T.)