(A.S.) E sono tre. Dopo Vitrano e De Luca, anche Riccardo Minardo (Mpa) viene reintegrato all’Ars. Il meccanismo è sempre lo stesso. Come spiegato dal presidente Francesco Cascio in apertura di seduta, lo scorso 28 settembre è arrivata alla presidenza un fax con intestazione “Blanco Petroli srl” con la documentazione “concernente la scarcerazione dell’on. Riccardo Minardo”.
Lo stesso giorno, una nota inviata dal legale di Minardo, Carmelo Scarso, ha confermato il “provvedimento di revoca della misura cautelare degli arresti domiciliardi”. La presidenza, quindi, così come per Gaspare Vitrano e Cateno De Luca, non ha potuto fare altro che “prendere atto” della comunicazione, facendo così cessare la sospensione di Minardo che, quindi, torna a essere un deputato regionale a tutti gli effetti.
A “lasciargli il posto”, il suo “supplente”: il sindaco di Pozzallo Giuseppe Sulsenti.
Insomma, la storia è sempre la stessa. “La sospensione di diritto – spiega la legge 55 del 1990 – consegue, altresì, quando è disposta l’applicazione di una delle misure coercitive di cui agli articoli 284, 285 e 286 del codice di procedura penale”. Gli articoli, insomma, che riguardano gli arresti domiciliari, la custodia cautelare e la custodia cautelare in luogo di cura. Decadute queste misure, il deputato può tornare a essere “onorevole”.
Una situazione che ha già creato situazioni paradossali, come quella riguardante Gaspare Vitrano, che ad agosto è stato reintegrato nonostante il divieto di soggiorno in Sicilia. Mentre nel caso di Cateno De Luca, la situazione è opposta: il divieto di soggiorno è nel suo comune di FIumedinisi. Quindi non è pregiudicata la sua presenza a Palazzo dei Normanni.
Riccardo Minardo era ai domiciliari, insieme alla moglie Giuseppa Zocco, dal 26 aprile scorso quando entrambi furono arrestati dalla Guardia di Finanza, nell’ambito dell’inchiesta sul Consorzio d’Area Iblea per una presunta truffa ai danni dell’Unione Europea e dello Stato per 5 milioni di euro. I due, insieme al presidente del Consorzio, Sara Suizzo, del marito, Mario Barone, e dell’imprenditore Pietro Maienza, sono imputati, nel processo cominciato a fine settembre, per associazione per delinquere finalizzata alle truffe aggravate ai danni della Comunità europea, dello Stato e di altri enti pubblici, ma anche di malversazione, evasione fiscale e riciclaggio.