”Emanuele D’Agostino mi raccontò che aveva preso De Mauro su ordine dello zio Totuccio (Toto’ Riina ndr). Lo vide arrivare in auto, aprì lo sportello e non gli diede tempo di scappare. Lo colpì al viso col calcio pistola e, insieme al ragazzo che lo aiutava nella missione, lo mise nel sedile dietro della loro macchina”.
Attorno a questa drammatica testimonianza del sequestro del giornalista Mauro De Mauro, fatto dal pentito Rosario Naimo, ruota l’accusa nei confronti del boss Totò Riina, assolto ieri dalla Corte d’Assise di Palermo in base all’articolo 530 del codice di procedura penale che parla di ”incompletezza della prova”. Naimo ricostruisce le fasi del sequestro, avvenuto la sera del 16 settembre 1970 sotto l’abitazione del giornalista, attraverso il racconto di Emanuele D’Agostino, uomo del boss Stefano Bontade, incaricato del rapimento.
”D’Agostino, proprio per farmi capire che ruolo aveva assunto in Cosa nostra, mi raccontava di De Mauro come fosse una cosa di cui vantarsi”, ha spiegato Naimo. ”De Mauro, per quello che mi ha detto D’Agostino – ha aggiunto – dopo essere stato colpito era stonato e pieno di sangue. Mentre il ragazzino guidava, D’Agostino gli puntava la pistola per non farlo parlare. Fingeva di averlo confuso con un altro, lo chiamava con altro nome e gli diceva che l’aveva preso perché aveva dato fastidio alla sorella”.
”Poi quando arrivarono in un terreno dei Madonia – ha proseguito il pentito – lo fecero scendere e lì c’era Riina. A quel punto gli dissero ‘caro De Mauro’ svelando che sapevano benissimo chi avevano rapito e subito lo uccisero forse sparandogli”. D’Agostino avrebbe detto a Naimo che fecero sparire il corpo. Il pentito non ricorda se l’amico gli disse che l’avevano buttato in un pozzo. Naimo ha ribadito che l’ordine di rapire De Mauro partì da Riina ma che erano d’accordo anche i boss Ciccio Madonia e Stefano Bontade.