Ha vinto Trump. Molto più nettamente di quanto si pensasse. E l’analisi del voto è molto chiara se si guarda la mappa degli Stati Uniti con i risultati contea per contea.
Kamala Harris ha vinto nella zona del nord-est e su tutta la costa ovest (le zone più ricche e le cattedrali dell’hi-tech); nel resto del Paese i pochi puntini blu del voto democratico corrispondono alle contee degli aggregati urbani più importanti. Non a caso i massimi finanziatori della sua campagna elettorale si chiamano Google, Microsoft, Apple.
Donald Trump ha vinto in tutto il mondo rurale, nelle zone industriali, in quelle agricole, nelle periferie, nelle zone dove le percentuali di latini e neri è più elevata. Sono elettori che manifestano chiaramente preoccupazione per il futuro, attenzione alle esigenze e ai bisogni primari, che chiedono protezione rispetto agli effetti della globalizzazione, ma anche rispetto ai flussi migratori.
Gli endorsement delle pop star per Kamala Harris, che dall’alto dei loro attici di Manhattan pretendono di dettare un indirizzo di voto all’operaio del Michigan o al contadino del Kentucky, hanno funzionato molto poco, se non per acuire lo scontro, già estremamente polarizzato, tra popolo ed élite.
Il “popolo” va a destra, negli USA come in Italia. Duro ammetterlo, ma è così. E il “popolo” vuole sicurezza (e purtroppo tende a credere a chi scarica tutte le responsabilità sui migranti), vuole sentirsi dire che pagherà meno tasse, che il potere d’acquisto del suo salario sarà difeso, vuole l’uomo (o la donna) forte in cui credere in modo fideistico. Trump (e Meloni) interpretano bene questo ruolo.
Questa lezione va compresa e metabolizzata, anche in Italia. E il centrosinistra deve superare i veti e trovare un progetto per tornare a rappresentare queste istanze e queste fasce della popolazione.
Ma quali saranno le conseguenze dell’elezione di Trump per l’Europa e per l’Italia?
La campagna elettorale di Trump, ma anche quanto fatto da presidente nel periodo 2016-2020, lasciano prevedere un approccio fortemente rivendicativo degli interessi americani e molto determinato nel perseguirli. Make America Great Again è stato il suo slogan.
Concreta è quindi la prospettiva di un ritorno alle scaramucce commerciali e ai dazi unilaterali, si parla di 10-20% sui prodotti europei, anche del 60% su quelli cinesi.
Probabile, anche se meno certa, è l’ipotesi di un disimpegno di Trump dalla NATO. Più volte Trump ha invitato gli europei a contribuire maggiormente alle spese militari della NATO, a rispettare l’obiettivo del 2% del PIL in spese per la difesa, fino a minacciare il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall’Alleanza Atlantica.
Ancora, Trump ha sempre dimostrato di non voler trattare con l’Europa nella sua unitarietà, ma di preferire rapporti bilaterali con i singoli Paesi.
Fatte queste premesse, resta da comprendere come reagirà l’Europa. L’auspicio, naturalmente, sarebbe uno scatto in avanti verso l’integrazione europea, in primis lavorando sulla difesa comune europea, per trattare con Trump da pari a pari, da big player nello scenario internazionale.
Ma saranno in grado i nostri leader di avere questa reazione? Purtroppo, oggi la situazione è molto diversa rispetto al 2016. Il centro politico del continente (a cominciare dal ‘motore’ franco-tedesco) appare diviso e indebolito, partiti e movimenti che in Europa rivendicano affinità con Trump sono oggi più forti, e in alcuni casi perfino al governo. Per alcuni Paesi sarà grande la tentazione di approfittare di questa affinità (l’Ungheria, ma chissà anche l’Italia?) e, nel nome del peggior sovranismo, puntare su rapporti bilaterali, per ottenere piccoli vantaggi tattici.
Insomma, nonostante la recentissima presa di posizione di Macron, purtroppo ormai nella fase calante del suo governo in Francia, l’augurio che il ritorno di Trump possa costituire uno shock salutare per l’Europa, spingendola a puntare, una volta per tutte, sulla sua autonomia ed unitarietà, appare molto fragile.
Mancano leader europei forti e veramente europeisti. Lo abbiamo visto anche alle recenti elezioni europee, in cui, paradossalmente, si è parlato tantissimo di problemi interni, e quasi nulla di Europa. Ma, se la mia previsione, una volta tanto pessimista, si verificherà, i nostri piccoli Paesi europei saranno sempre di più marginali ed irrilevanti. (l’autore è componente dell’esecutivo di Italia Viva)