Magari! Magari i problemi di comunicazione e di credibilità di un partito si potessero risolvere riempiendo una piazza. Perché, è vero, il Pd targato Elly Schlein ha riempito Piazza del Popolo sabato 11 novembre e non era per nulla scontato, ma la strada è ancora lunga per riconnettersi con l’elettorato di un tempo e conquistare nuovi consensi, soprattutto nel vasto bacino degli astensionisti. In un momento in cui governa una destra, l’unica che abbiamo, un po’ fascistoide e sovranista (vedi, tra l’altro, la proposta di riforma costituzionale sull’elezione diretta del presidente del Consiglio, unico caso in Europa, scassando il delicato equilibrio costituzionale di pesi e contrappesi), un po’ separatista (vedi la fissazione sull’autonomia differenziata che così come è concepita dalla Lega aumenterebbe il divario tra Nord e Sud dell’Italia) e un po’ mercantile (vedi la trasformazione quasi antropologica delle persone in clienti o consumatori nel ventennio berlusconiano) e ciò nonostante senza una visibile e unitaria opposizione. Colpa degli elettori? Facile scappatoia auto consolatrice.
Ecco la questione centrale, se la destra italiana è quella che è, non certamente quella laica, liberale e riformista della metà dell’800 (seppure con i difetti classisti di quell’epoca), la sinistra italiana non c’è, o almeno è complicato ritrovarla tra le ambiguità del Nazareno e la fluidità del M5S di Giuseppe Conte ancora in fase di sedimentazione identitaria e organizzazione sul territorio. Per carità, Piazza del Popolo gremita è un battito di esistenza in vita dopo un lungo periodo di assenza di protagonismo politico e di sconfitte elettorali, un avvertimento a Giorgia Meloni ma, lo ripetiamo, il percorso è interamente da costruire per stimolare entusiasmo e orgoglio di appartenenza.
A breve vi sarà una grande manifestazione sindacale della Cgil e della Uil (sciopero generale) contro le politiche economiche e sociali del governo, sicuramente sarà affollata. Matteo Salvini attacca Maurizio Landini, segno inequivocabile di nervosismo. Sono campanelli d’allarme che Palazzo Chigi e la sua maggioranza farebbero bene a non sottovalutare, però sono pure dei messaggi alle opposizioni per darsi una mossa. La Schlein appare timorosa, preoccupata del possibile fuoco amico, specialmente interno.
Deve tirare fuori gli artigli, ridimensionare le correnti piddine e i vecchi notabili del partito, rinnovare la classe dirigente, particolarmente nel meridione e in Sicilia, costruire un rapporto con il M5S e con Alleanza Verdi e Sinistra di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni basato sulla convergenza chiara su elementi programmatici essenziali (economia e fisco, riforme istituzionali e costituzionali, diritti civili, flussi migratori, guerre in Ucraina e nel Medio Oriente, lotta alle povertà, alle diseguaglianze, alle discriminazioni, all’evasione fiscale, politiche di sostegno al ceto medio, alle imprese, ai giovani e alle donne).
Sennò, puoi riempire le piazze una, due volte poi è finita. Su Carlo Calenda e Matteo Renzi è meglio stendere un velo pietoso, troppo concentrati su se stessi e la propria sopravvivenza. I mesi che verranno fino alle elezioni europee rappresentano un passaggio cruciale per la sinistra italiana, una grande opportunità che sarebbe politicamente criminale sprecare in nome di misere convenienze elettorali ed egoistici giochi di parte.