PALERMO – Sentenza ribaltata. Ergastolo cancellato e scarcerazione immediata. Epilogo inatteso al processo per l’omicidio di Michele Salvatore Gallina, avvenuto a Lercara Friddi nel 1988. Angelo Romano, 59 anni, è stato assolto. Scene di esultanza fra i parenti alla lettura del dispositivo. La moglie dell’imputato ha avvertito un malore.
Il corpo di Gallina, scomparso l’11 aprile del 1988, fu ritrovato un mese e mezzo dopo nelle campagne di Vallelunga Pratameno, nel Nisseno. Era incaprettato e carbonizzato dentro il bagagliaio di un’Alfa Romeo. La firma mafiosa era fin troppo evidente.
Secondo l’accusa, Romano avrebbe fatto parte del commando di killer assieme a Rosolino Pecoraro e a Girolamo, Leonardo e Vincenzo Lo Cascio. Padre e figli. Tutti deceduti. Nel 2010 fu Nino Giuffrè, boss di Caccamo diventato pentito, a fare i nomi del responsabili. Mise a verbale che Pecoraro “lo hanno usato i Lo Cascio per fare degli omicidi a Lercara… probabilmente un Gallina”. Poi aggiunse: “Pecoraro e Angelo Romano erano particolarmente legati cu vecchio Lo Cascio… sono avvenuti degli omicidi per conto di Lo Cascio… entrambi sia il Pecoraro che l’Angelo Romano”.
E così, nel 2012, a 24 anni del delitto, per Romano scattarono le manette. Manuzza, così è soprannominato Giuffrè, fece il nome del mandante e raccontò il movente del delitto. Disse di avere saputo che Gallina era stato eliminato “perché andava per conto suo, cercava soldi a chi non doveva”. Lo hanno ucciso loro i mommo… diciamo loro come famiglia”, spiegò riferendosi a Girolamo Lo Cascio. Solo che i Lo Cascio finirono per creare un incidente diplomatico. Si erano permessi di far ritrovare il corpo nel Vallone nisseno, il feudo di Piddu Madonia, senza che il capomafia fosse stato avvertito. E così Cosa nostra successivamente deliberò di eliminare Enzo e Nardino Lo Cascio. Anche Romano doveva essere ammazzato. Giuffrè ne seguì i movimenti, ma alla fine Romano lasciò la Sicilia e riuscì a scampare alla condanna a morte di Cosa nostra.
Infine, arrivarono anche le dichiarazioni di altri due pentiti (Ciro Vara e Salvatore Facella) che ricostruirono la figura di Gallina. Era stato per anni lontano dalla Sicilia e una volta rientrato aveva provato a farsi largo. “Sembrava un bullo romano”, dissero i due collaboratori. Un atteggiamento non gradito ai capimafia di allora.
Nonostante i pentiti, però, è arrivata il’assoluzione. I difensori di Romano, gli avvocati Raffaele Bonsignore e Rosario Vento, hanno infatti sostenuto che tutti e tre i collaboratori avevano appreso la notizia del presunto coinvolgimento di Romano da uno dei killer poi deceduti. Notizie de relato e senza riscontro. Una tesi che – solo le motivazioni potranno dare la certezza – dovrebbero avere fatto breccia nel collegio della seconda sezione della Corte d’assise d”appello, presieduta da Salvatore Di Vitale.