PALERMO- “Ma lei che è sbirro?”. L’uomo che domanda è un signore muscoloso e tatuato, che ha appena gettato una cicca nel mare verde di Mondello. Il bersaglio del quesito sono io. Ho osato chiedergli con umiltà francescana: “Scusi, perché la sigaretta in acqua?”. Ecco la risposta. In fondo, l’anatema è meritato: sei sulla spiaggia nella lunga epopea di Ferragosto? Hai lasciato la Gazzetta dello sport e il libro del poeta Ceronetti sul divano? Ben ti sta.
Non mancano i palermitani buoni che sono più di quanti si creda. E si fermano al cospetto delle strisce pedonali. E conferiscono i rifiuti della mattinata balneare nell’apposito sacchettino. E si rendono conto che la bellezza non è una concessione eterna, ma un tesoro da custodire. Altrimenti, la luce tremolante di Palermo sarà prima o poi soffocata dalle sue tenebre. Come hanno detto i turisti intervistati da LiveSicilia: “Questa città è bellissima, ma sporchissima”. Munnizza e meraviglia non dovrebbero dormire insieme.
“Cioè, fammi capire? Che sei sbirro? Oppure sei vigile, puntuniere? Oppure sei carabiniere? Che sei tu?”. Si infervora, in un crescendo di intimità, l’omone tatuatone e muscolone. Vuole sapere proprio l’arma, l’ente di appartenenza. Non gli filtra per le fessure libere della capoccia che un cittadino semplice semplice possa avere a cuore la pulizia, perché il mare è di tutti – anche di chi lo sporca – dunque la tutela di una simile dolcezza spetterebbe, ma sul serio, a tutti. Insiste il Big Jim della battigia: “Che sei, della forestale? Sei cintura nera di judo? Sei un buttafuori?”. Sfotte, il lanciatore di cicche, mentre intorno, dalle stuoie e dalle sdraio, si leva un risolino; di compatimento per l’imbecille che si è permesso di obiettare; di simpatia per l’eroe del degrado che mostra i bicipiti unti, al sole, e anche lui – sì, lui – ride.
Intorno, è un delirio, sulla spiaggia che ammalia solo a notte fonda o all’alba. L’aria è pervasa da una muffa di cocco e olio solare. L’abbanniata del venditore ambulante – ogni cosa vende: dalla lattina di te, al pareo, ai braccialetti, alla testata nucleare con annesso kit di montaggio… – fa da contrappunto alle voci e ai suoni. Gigi D’Alessio è un must, a sua volta punteggiato dalle ugole di ignoti cantautori partenopei. Ma quello che colpisce davvero è la perizia della gente, la sua capacità di dividersi l’ultimo strapuntino lercio di spazio, condividendo masserizie e fluidi corporei. C’è un’unica stuoia collettiva ed è lì che i palermitani prendono il sole.
Da lontano, la brezza porta effluvi di cassonetti decrepiti, di immondizia sedimentata. Una turista ha confessato a Live: “Come dimenticare Mondello? Quei colori mi rimarranno per sempre dentro. Mi ha sconvolto tanto la confusione, la gente ammassata sulla spiaggia, ma d’altronde questa è una delle caratteristiche del luogo”.
Ed è la maledizione nostra, la costituzione vigente della Repubblica delle volgarità, che elegge la bruttezza a canone di cui essere perfino fieri, in mancanza del resto. Il paesaggio ha da essere sbrecciato, un diamante purissimo e smerigliato. Pazienza se gli altri – coloro che vengono da fuori e pure hanno visto il mondo – ci considerano abitatori di una contraddizione atroce.
Per noi non sussiste schizofrenia nella delicatezza dello scorcio inchiodata all’estetica del cassonetto. Non c’è orrore – non lo percepiamo – nel Ferragosto-carnaio di Mondello, pieno di schifezze, cicche e pannolini che si mischiano col bagnasciuga, in una consueta giornata palermitana. Non c’è ferita in questo sangue che sgorga e rende anemica la speranza di un domani migliore. La profezia del pessimismo si invera. Se stiamo tanto bene nel nostro ‘umanile’, nel trogolo, nella palude che è una scelta, non una sciagura, perché mai dovremmo cambiare?
“Insomma, me lo dici? Che sei sbirro?”. Aveva ragione quel grande che profetizzava: “Non sto a Palermo, io sto a casa mia”. A casa, a casa è urgente tornare, per riguadagnare la decenza e la soglia. Per riprendere in mano il libro di Ceronetti: “Di noi cantava e gemeva accanto l’angelo bianco, l’angelo ferito…”. Per non pensare più all’omone della sigaretta che alla fine – a mo’ di commiato, di scena conclusiva del suo soliloquio – ha pure mimato le corna, muovendo in su e in giù la manona con l’indice e il mignolo tesi. Le vecchie, carissime, corna. La giaculatoria del tatuato a dispetto dei poeti. La sua coroncina d’aglio avverso gli angeli in transito. Il suo esorcismo contro la civiltà.