PALERMO – Gli arrestati sono tre e l’operazione è stata chiamata “Bingo Family”. Secondo i carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Palermo, infatti, sarebbero stati i fratelli Cosimo e Giorgio Vernengo ad imporre il pagamento del pizzo ai responsabili di una sala bingo nel rione Guadagna. Assieme a loro finisce in cella una donna, Paola Durante. L’ordine di arresto, chiesto dai pubblico ministeri Sergio Demontis e Francesca Mazzocco, è stato firmato dal giudice per le indagini preliminari Lorenzo Matassa.
Quello dei Vernengo, legati alla famiglia di Santa Maria di Gesù, è un cognome storico nella mafia palermitana. I due arrestati sono figli di Pietro, soprannominato u Tistuni, che sta scontando una condanna all’ergastolo per omicidio.
Anche Cosimo, 52 anni, ha rischiato l’ergastolo. Si tratta, infatti, di uno dei condannati al “fine pena mai” e scarcerati quando sono state smascherate le bugie dei falsi pentiti. In carcere Cosimo c’era finito nel luglio del 1994. Nel 1999 tornò libero quando la Corte d’assise di Caltanissetta lo assolse per la strage, ma lo condannò a 10 anni per associazione mafiosa. Nel 2002 i giudici d’appello gli inflissero l’ergastolo e lui si rese irreperibile. Lo scovarono due anni dopo in una palazzina a Monreale. Nel 2011 la nuova scarcerazione dopo che il processo per l’eccidio di via D’Amelio è stato azzerato. Fedina penale pulita, invece, per il fratello Giorgio, 41 anni.
L’inchiesta di oggi coinvolge anche Natale Giuseppe Gambino e Salvatore Profeta, altri due boss tornati in cella nel dicembre scorso dopo essere stati, pure loro, scagionati dall’accusa di avere partecipato all’organizzazione della strage di via D’Amelio. È venuto fuori che Profeta e Gambino avrebbero incassato i soldi del pizzo dalla vecchia gestione della sala bingo, terminata nel luglio 2015, e pretendevano che anche i nuovi amministratori mettessero mano al portafogli. La tassa da pagare era piuttosto salata: 50 mila euro per lasciare la gestione del bar all’interno della struttura. Bar che per altro non era formalmente di loro proprietà.
Un acconto di 6 mila euro sul pizzo sarebbe stato consegnato alla Durante, 41 anni, che per conto dei Vernengo avrebbe gestito il bar della sala bingo durante la precedente amministrazione. Pizzo mascherato sotto forma di fatture emesse da due società per forniture e servizi mai effettuati. E adesso si indaga pure sui due legali rappresentanti delle società. Così come da chiarire è la storia dell’assunzione al bingo della figlia di Profeta. Assunzione che sarebbe stata imposta da Cosimo Vernengo.