Raramente una competizione elettorale suggerisce attraverso i suoi risultati, quelli scontati e quelli inaspettati, una valanga di considerazioni e di domande molte delle quali potranno forse ricevere una risposta tra qualche tempo.
Le consultazioni in Italia e negli altri 26 paesi UE per il rinnovo del Parlamento europeo ci costringe, infatti, ad alcune brevi riflessioni che riguardano noi italiani in particolare e, poi, l’intera Unione Europea.
Nel nostro Paese si conferma indiscutibilmente la leadership di Giorgia Meloni ma non è altrettanto vero che venga confermata ipso facto la stabilità del governo da lei presieduto sebbene, guarda caso, sia diventata la litania dei dirigenti di FdI.
Lo scivolone di Matteo Salvini, nonostante l’effetto “Vannacci” portatore di ben 530 mila voti, e la netta tenuta di Forza Italia, nonostante la scomparsa di Silvio Berlusconi, non potranno non avere conseguenze sul prosieguo della legislatura.
Troppa la distanza tra la Lega e il partito di Antonio Tajani, troppe le spaccature ormai evidenti dentro il Carroccio, basta ricordare il plateale attacco di Umberto Bossi a Salvini decidendo di votare un proprio candidato però nelle liste di FI.
Inoltre, appare evidente che seppure in assenza nella maggioranza di vistosi scossoni post voto Tajani, incoraggiato dal responso lusinghiero delle urne, cercherà di rappresentare da solo l’estesa fetta di elettorato moderato ostile alle estremizzazioni leghiste e alle tendenze anti-europeiste del partito della premier.
Una dimostrazione di tale assunto sono i contrasti tra FI e i suoi alleati sull’Autonomia differenziata in corso di approvazione. Sul fronte opposto inequivocabile il successo affatto scontato del Pd di Elly Schlein, evento che potenzia non poco lei nella sede del Nazareno e l’opposizione con il suo ruolo di contraltare all’egemonia meloniana.
Anzi, se non fosse per le irritanti scaramucce sul fronte del cosiddetto “campo largo” la Meloni avrebbe parecchie ragioni per perdere il sonno.
Al contrario la testardaggine, diciamo pure la miopia personalistica di Giuseppe Conte, pagata con un assordante tonfo del M5S, e il continuo beccarsi tra Carlo Calenda e Matteo Renzi, entrambi spazzati via dallo sbarramento del 4%, consentono all’inquilina di Palazzo Chigi di dormire tranquillamente.
Ci sarebbe ancora modo per costruire una opposizione compatta sui temi cruciali del lavoro, del fisco, della sanità pubblica, della transizione ecologica, della sicurezza sociale, della lotta al precariato e per il salario minimo e della pace.
Però, dovrebbero scomparire i protagonismi inutili e gli atteggiamenti di reciproca diffidenza, l’elettore percepisce la tensione sotto traccia e si ritira nell’astensionismo o vota con intento punitivo.
Illuminante è stata la straordinaria percentuale conquistata da Avs di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, autori, al di là della scelta rivelatasi felice dei candidati, di una campagna elettorale centrata sulle questioni care ai Verdi e alla Sinistra senza mai un litigio, nemmeno accennato, tra i due coprotagonisti.
L’elettorato animato dagli stessi ideali e contenuti programmatici ha apprezzato. E gli effetti del voto sull’Europa?
Mi auguro che non ci si accontenti del bicchiere mezzo pieno, sicuramente l’invasione delle destre estreme, populiste e sovraniste non è stata devastante al punto da sovvertire i delicati e traballanti equilibri europei, la cosiddetta maggioranza “Ursula”, popolari, socialisti e liberali, ha sostanzialmente retto ma, attenzione, il messaggio è chiaro come il sole d’estate a mezzogiorno.
Lo spaventoso astensionismo, la sconfitta di Macron in Francia e di Scholz in Germania e l’avanzare delle destre estreme sono segnali inequivocabili sulla necessità di imprimere un cambio di passo certificando una progressiva disaffezione al mito europeo così come concretamente attuato e una latente sfiducia dei cittadini, specialmente dei più poveri, fragili e disagiati, nei confronti degli organismi parlamentari e di governo europei.
Passata l’emergenza Covid si sta tornando alla fissazione dell’austerità, naturalmente sulla pelle di vastissime porzioni di popolazione che non ce la fa a tirare avanti.
Parlare da un lato di Europa e poi pretendere, vedi la Banca Centrale Europea, la Francia e la Germania, di dirigere la politica europea in materia economica e monetaria sacrificando la vita quotidiana delle persone, delle famiglie e delle imprese, magari a favore di banche e lobby, sul sacrario profano dei parametri stringenti di bilancio e del debito pubblico francamente non è più sostenibile.
L’Europa nel suo complesso è già debole, lo constatiamo in tempo di guerra con le sue ambigue posizioni in Ucraina e a Gaza, lo è se guardiamo alle originarie e coraggiose intuizioni dei suoi fondatori ed esce ulteriormente indebolita dal voto dell’8 e 9 giugno.
Rafforzati, invece, sembrano i muri, i fili spinati, i nazionalismi irrazionali, rafforzate le pulsioni istintive, le paure scientificamente inculcate nella gente verso i cosiddetti diversi da spregiudicati e sedicenti leader pronti a ogni semplicistica e terroristica propaganda pur di agguantare il potere. Decisamente, non è un bel momento.