Un’amica in visita in questi giorni all’Expo mi invia una foto. Arancine e cannoli 6 euro. Guardo e resto perplesso. La chiamo. Sì, proprio così. Non ho le traveggole. Sei euro per un’arancina o un cannolo. Sei euro. Ho un bar, lo sapete. E ciclicamente, diciamo un paio di volte l’anno, mi pongo il problema di ritoccare il prezzo dei prodotti. Riusciranno i miei clienti a metabolizzare il mirabolante aumento di dieci centesimi? Nel dubbio, vista la mia cautela ai limiti della codardìa, decido di lasciare tutto com’è.
E quindi, per tornare alla storia iniziale, mi arriva questa foto dall’Expo. Provo a mettere da parte il problema di carattere strettamente morale – con quale coraggio puoi vendere a sei euro un’arancina o un cannolo, due prodotti “poveri” per antonomasia? – e rifletto piuttosto su alcune cose. La prima. Da esperto del settore, e scusate l’immodestia, non esiste un solo motivo – a parte i chicchi di riso d’oro, ma non credo sia questo il caso – che possa giustificare la vendita di un’arancina a un prezzo così esorbitante. Nemmeno se te la servisse Belen nuda, per dire. La seconda. Ci sono cose che hanno il potere di farmi vergognare di appartenere alla mia categoria. Questa è una di quelle. La terza. Il malefico potere di quella foto ha trasformato d’incanto la mia pigra indifferenza verso una manifestazione tanto pompata in un’acida antipatia che come minimo, se mi conosco, mi terrà lontano da Milano per i prossimi tre anni.
La quarta, e definitiva. Penso al buffo claim di questa bislacca Esposizione universale: nutrire il pianeta. Sì, va bene. Però lo puoi nutrire anche vendendo un’arancina – femmina, e guai a voi – a meno di due euro. Giusto per non farsi ridere dietro. Nella migliore delle ipotesi.