PALERMO – Giuseppe Faraone e Francesco D’Alessandro avevano rapporti confidenziali. Il primo è stato arrestato oggi con l’accusa di avere tentato di imporre il pizzo ad un imprenditore di forniture elettriche su indicazione del secondo, in cella da giugno scorso con la pesante accusa di avere assunto nel 2011, dopo avere finito di scontare una condanna per mafia, la reggenza della famiglia di San Lorenzo.
I due si incontravano e parlavano spesso al telefono. E così quando D’Alessandro lo chiamava per sapere dove si trovasse, Faraone rispondeva: “Sono in campagna elettorale e voglio vincere, va bene?”. Risposta secca di D’Alessandro: “E pure io”.
Erano talmente buoni i rapporti fra i due, dicono gli investigatori, che quando ci fu da affrontare la delicata vicenda del pizzo, Faraone non si sarebbe tirato indietro. Il consigliere comunale entrò in gioco il 31 dicembre 2012, quando D’Alessandro riferiva a Onofrio Terracchio, pure lui in manette, che “Faraone ci ha parlato che io… volevo parlare con quello di là sempre, figghiò. Con quello di via Alcide De Gasperi là… dice… neanche gli auguri mi ha fatto questo cornuto… e questo… gliene ha fatto vuscari… ohu… i soldi glieli ha fatti vuscari con la pala, no così. Con la pala”. Gli inquirenti spiegavano così le ultime frasi: “Dal tenore della conversazione si comprendeva quale fosse il legame tra l’imprenditore e il politico Faraone, quest’ultimo infatti era stato presidente della commissione viabilità e l’uomo era titolare di aziende che si occupavano di segnaletica stradale”.
Fin qui quanto ricostruito dall’accusa già a giugno. Non bastò, però, a fare scattare le manette anche perché l’imprenditore vittima si era rifiutato di collaborare. Poi ci ha ripensato ed ha messo a verbale la sua triste storia: “Faraone mi ha chiesto più volte di aiutarlo nella raccolta dei voti per le varie tornate elettorali. Per quanto concerne la richiesta estorsiva fu il Faraone che in un lasso di tempo che non sono in grado di datare con certezza mi fece questa richiesta rappresentandomi che ‘alcuni amici’ lo avevano incaricato di richiedermi del denaro in quanto avevano bisogno di aiuto finanziario…”.
Non ci fu bisogno di aggiungere altro: “… avevo capito che faceva riferimento a persone della zona considerato che è solito frequentare la zona di San Lorenzo e Resuttana, così come dal suo atteggiamento avevo intuito che si stesse riferendo ad una richiesta estorsiva; tuttavia, non si espresse in termini più chiari né in relazione all’identità di ‘questi amici’, ne’ in relazione alle finalità di questo aiuto ed alle motivazioni, né tanto meno, alla cifra che mi veniva richiesta”.
La richiesta estorsiva sarebbe avvenuta nei pressi di un bar nella borgata palermitana di Vergine Maria. E non fu l’unico faccia a faccia: “… dopo qualche tempo incontrai nuovamente Faraone il quale ebbe di nuovo a ribadirmi questa richiesta di denaro da parte di ‘amici’ che avevano bisogno di aiuto ed a cui bisognava dare una mano. In questo caso per scrollarmi di dosso Faraone gli dissi falsamente che io mi ero già ‘messo a posto’ poiché, essendo in quella zona da molto tempo, sapevo come dovevo comportarmi e non avevo bisogno che me lo dicesse lui”.
Una bugia a cui seguì la scelta di cambiare aria per un po’, con l’obiettivo di evitare incontri sgraditi. Poi, iniziò la paura: “Si erano verificati alcuni fatti anomali in quanto persone che non si presentavano con le loro credenziali avevano iniziato, dopo questi abboccamenti con Faraone, a citofonare in ufficio chiedendo di me ed a telefonarmi a casa. Questi episodi mi fecero capire che era stato Faraone che aveva fornito a queste terze persone che volevano da me il denaro sia l’indirizzo del mio ufficio che il numero di telefono di casa mia. Ricordo, in particolar modo, un’occasione in cui una di queste persone che telefonava senza qualificarsi parlò con me personalmente invitandomi a rivolgermi ‘agli amici’ con un tono sicuramente minatorio”.
A mali estremi rimedi estremi: “… mi arrabbiai parecchio e decisi di affrontare Faraone. Mi recai presso il bar Golden, dove normalmente sapevo di poterlo incontrare, e lo aggredii verbalmente in quanto lo ritenevo responsabile di quello che stava avvedendo. Gli dissi che qualora mi fosse successo qualcosa avrei addossato a lui ogni responsabilità e per questo avevo predisposto una lettera che avevo consegnato al mio avvocato corredata da precise istruzioni perché venisse resa pubblica qualora fosse successo qualcosa sia a me che alla mia azienda. A queste mie parole Faraone ebbe un atteggiamento di derisione nei miei confronti; di fatto non mi rispose e se ne andò lasciandomi sbattere e sorridendo”.