CATANIA – Un giorno per ricordare, commemorare ma anche per piantare il seme del cambiamento. Del cambiamento del giornalismo. Una professione, oggi (forse) orfana di grandi maestri come Pippo Fava, ucciso il 5 gennaio 1984 per mano mafiosa. Ma ci sono tanti giovani pronti a diventare penne libere. Narratori con la schiena dritta. E soprattutto cronisti senza etichette e medagliette autoreferenziali. Una generazione di giornalisti “che deve uscire dai salotti dell’antimafia”, ha detto Claudio Fava, pungolato dal giornalista Attilio Bolzoni nel corso del webinar organizzato dalla Fondazione Fava dal titolo “Triste, solitario y final: dove va il giornalismo in Sicilia?”.
Un momento di confronto e di dibattito per far partire un percorso nuovo del mondo dell’informazione nel Sud Italia, ma non solo. Il giornalista e scrittore Bolzoni, che ha moderato l’incontro, ha definito l’informazione di oggi “galleggiante e superficiale”, dove difficilmente si trova “un piccolo deposito di sapere”. E allora di chi è la colpa? Una domanda a cui i vari ospiti del ‘salotto virtuale’ della Fondazione Fava hanno cercato di dare una risposta. “Abbiamo archiviato il nostro passato troppo presto. Siamo orfani di molte verità e non le cerchiamo. Dobbiamo uscire dalle forme liturgiche”, ha detto ancora Claudio Fava, presidente della Commissione Antimafia e figlio del giornalista ucciso 37 anni fa. L’inviato de La Sicilia Mario Barresi introduce il tema degli “influencer dell’antimafia”: quelli che sui social, e non sono solo giornalisti, che “ricordano quotidianamente il morto del giorno ma oltre ad aver creato il calendario delle vittime non si accorgono di quello che accade nel nostro microcosmo. Bisogna praticarlo il nostro mestiere consumando le suole delle scarpe”.
Della rivoluzione web e social nel giornalismo ha parlato Claudia Campese, direttora di Meridionews. Che però ha evidenziato però come il punto di partenza deve “essere il mestiere” quello tradizionale, ma avendo “conoscenza e padronanza dei nuovi strumenti”. Accursio Sabella, ex direttore di LiveSicilia, è convinto che il mondo dell’informazione di trovi a un bivio storico: è necessario mettere nella bilancia “la sostenibilità e autorevolezza del giornalismo”. Ma è un’epoca anche dove esiste – secondo Sabella – “un rischio di degenerazione del nostro lavoro”. Ed è per questo che “qualità, approfondimento e verifica” devono rimanere i cardini della professione. Al di là dei click.
Ha aperto due temi caldissimi la giornalista Concita Di Gregorio: quello dell’arretratezza della legge sulla stampa e delle querele temerarie. La giornalista sollecita anche la Fondazione a intraprendere una battaglia normativa che “svincoli dal gioco del potere criminale ed economico” in modo da favorire i “giovani” per liberarli “dal potere di ricatto”. Un filone ripreso anche Mario Barresi: “Io mi preoccupo dell’arrivo in redazione delle lettere degli studi legali”. Dietro “le tante & commerciali e i partners e partners” c’è il gioco “dei condizionamenti delle cause civili”. “Abbiamo la necessità di affrontare il tema delle querele temerarie in una dimensione europea”, ha aggiunto Nello Scavo, vincitore del premio Fava dello scorso anno, in collegamento dalla Croazia.
Francesca Andreozzi, nipote di Pippo Fava, ha accolto con entusiasmo i vari input arrivati dal dibattito. “È l’inizio di un percorso”, ha commentato. Nel pomeriggio i familiari del giornalista ucciso hanno deposto dei fiori sotto la lapide nel luogo dove Giuseppe Fava è stato ucciso. “Quest’anno è stato strano essere qui da soli, ma non si poteva fare altrimenti”, ha detto Francesca. Ma il Covid ha solo messo in stand-by la cerimonia del premio giornalistico e non ha certamente fermato l’esercizio della memoria. Che però non deve ridursi “nella liturgia delle commemorazioni” ma diventare terreno fertile per iniziare a porsi degli interrogativi a cui trovare risposte. In fondo questo fanno i giornalisti: “fanno domande”.