PALERMO – Si intitola “Indagine sul Ventennio”, e come in ogni indagine che si rispetti c’è un colpevole. Ma quello che Enrico Deaglio oggi presenterà al Kalhesa di Palermo alle 17,30 con Corradino Mineo, Piergiorgio Morosini, Mario Azzolini ed Eleonora Lombardo non è un giallo, e quindi il nome del colpevole è un po’ telefonato. Il responsabile di quello che il giornalista torinese, rileggendo vent’anni di storia politica, dipinge come un romanzo criminale è presto individuato: “È Silvio Berlusconi – taglia corto l’ex direttore del ‘Diario’ – O meglio: Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Sono i due principali protagonisti del Ventennio: l’hanno immaginato, l’hanno realizzato e adesso anche loro ne pagano le conseguenze”.
Beh, ci è andata bene. Temevo che i colpevoli fossimo noi.
“Noi siamo nella parte delle vittime, vittime consenzienti ma vittime. Certo, una parte dei colpevoli va cercata fra tutti coloro che potevano opporsi, che avevano gli strumenti politici, culturali e conoscitivi per opporsi e non l’hanno fatto”.
Ecco. La cosiddetta “società civile”. Nel libro viene pubblicato un rapporto della Dia sull’operazione Oceano. Settanta pagine in cui si parla di rapporti fra mafia, politica ed economia che lei collega alla nascita di Forza Italia.
“In quegli anni c’erano elementi all’interno dello Stato che di sicuro erano a conoscenza di questo legame. La Dia e il presidente della commissione Antimafia sapevano di questo legame, del motivo di fondo che spingeva la discesa in campo di Berlusconi. Si è giocato sul filo di lana: sono arrivati prima loro e sono durati vent’anni”.
Oggi, tenendo a battesimo l’associazione culturale “Il contesto”, parlerà di questo a un pubblico, quello di Palermo, che in definitiva è stato l’epicentro di questo fenomeno, il granaio di voti di Forza Italia.
“Non solo il granaio di voti: Palermo è la città in cui è nata Forza Italia. La città in cui è stata concepita, che ne è stata il motore economico”.
Perché?
“Palermo aveva sviluppato negli anni Settanta e Ottanta un potere economico basato sull’economia criminale. Un enorme impulso derivante dal traffico di droga: Cosa nostra aveva il monopolio della fornitura di eroina negli Stati Uniti e aveva accresciuto il proprio potere. Così l’ha messo in atto dopo vari tentativi, come quello di Sindona. La costruzione del partito parte da Palermo, come parte da qui l’idea di fare questa alleanza con la Lega e il Msi. Questo complesso economico, finanziario e politico pensava veramente che i comunisti al governo avrebbero limitato le sue attività. Berlusconi pensava che le sue aziende sarebbero state messe sotto accusa, era terrorizzato dall’idea di un governo con Luciano Violante ministro degli Interni. La reazione è stata estremamente brillante”.
Siamo all’indomani delle stragi. La sua tesi è che con Falcone e Borsellino vivi staremmo raccontando una storia diversa.
“Se uno mette la lente all’incontrario, scopre che gli unici due che avevano immaginato, o meglio che avevano chiare le dimensioni di questo fenomeno, erano loro. Prima Falcone, con le indagini sul riciclaggio a Milano e sulla pista internazionale, la Pizza Connection, e poi Borsellino, che l’aveva anche detto nella famosa intervista ai due giornalisti francesi. Era una fase in cui la magistratura era abbastanza all’attacco, il periodo di Tangentopoli. Un’altra azienda coinvolta in questo sistema era la Calcestruzzi di Gardini, e questo è simbolicamente rilevante. Le parabole sono divergenti: Gardini si ammazza e Berlusconi diventa presidente del Consiglio. Erano il secondo e il terzo gruppo italiano”.
Vent’anni dopo, Berlusconi e Dell’Utri sono stati condannati entrambi, seppure per motivi diversi. È finita?
“Fondamentalmente sì. Il gruppo non esiste più. Ha dimostrato di non essere in grado di governare, di avere visioni estremamente limitate. Ma noi italiani non ce ne siamo liberati da soli: non c’è stata come nel precedente Ventennio, quello fascista, una Resistenza. Dobbiamo solo ringraziare l’Europa, perché questa figura diventava pericolosa per tutto. Le relazioni con Putin, ad esempio, erano fuori controllo. Ora abbiamo una situazione assolutamente fluida. C’è Renzi, un fenomeno nuovo e a mio parere interessante”.
E poi c’è il fenomeno Grillo.
“E poi c’è il nefasto fenomeno Grillo, la possibilità dell’avanzata di un populismo becero fatto di brutte idee, di brutta politica, di rabbia qualunquista. Ho un’interpretazione assolutamente negativa di questo movimento”.
Cosa dobbiamo aspettarci da questi uomini nuovi?
“Grillo è in fase di rapido calo, e del resto non mi sarei aspettato niente se non una forma di intossicazione generale della società. Da Renzi, se ne ha la forza, ci si può aspettare un segno di svolta generazionale. Non sarebbe solo giovanilismo, ma un attacco a questa struttura di potere burocratico consolidato, di posizioni incrostate che fanno parte della realtà italiana. Dubito che ce la faccia”.
Chi o cosa lo fermerà?
“Siamo un Paese andato in declino demograficamente. Siamo un Paese vecchio, che non ha affrontato con intelligenza l’immigrazione. Ci troviamo con quasi un dieci per cento di immigrati, che però non hanno diritti, e questo fattore sarà foriero di grandi tensioni. Anche questo è un segno del ventennio. Tutti, sinistra inclusa, abbiamo fatto finta di non accorgercene e ne pagheremo le conseguenze. Io sono molto pessimista. Renzi non è legato al mondo di Berlusconi, è un altro genere d’Italia. Ma quanto è forte questa Italia?”.
Oggi Enrico Deaglio presenterà a Palermo la sua "Indagine sul Ventennio": una storia del berlusconismo riletta partendo da un rapporto della Dia. "Il Cav? Temeva che i comunisti al governo mettessero sotto accusa le sue aziende e ha reagito brillantemente".
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