PALERMO – Al momento è solo un dichiarante, ma un dichiarante di peso. Che ha confermato, seppure con notizie apprese da altri, la ricostruzione dei carabinieri del Nucleo investigativo e della Procura di Palermo sull’omicidio di Enzo Fragalà.
Salvatore Bonomolo ha parlato con i pubblici ministeri Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco. Ha detto di avere appreso da altri detenuti che sull’omicidio dell’avvocato penalista avrebbe ragione il pentito Francesco Chiarello e non Antonino Siragusa, colui che nelle settimane scorse ha messo sul piatto degli investigatori una nuova verità. I pm, però, non hanno trovato i riscontri necessari e lo ritengono inattendibile
Adesso sono arrivate le parole di Bonomolo che non è l’ultimo arrivato. Si è aperto un nuovo fronte investigativo perché se davvero diventerà un collaboratore di giustizia potrebbe svelare tanti segreti di Cosa nostra.
Lo hanno arrestato nel 2012, dopo cinque anni di latitanza a Caracas. Era l’ambasciatore di Cosa nostra in Venezuela. Aveva fatto carriera dopo essersi occupato per tanti anni di estorsioni. Cinquantadue anni, uomo della famiglia mafiosa di Palermo Centro. Mandamento mafioso di Porta Nuova, lo stesso che ingloba il Borgo Vecchio dove sarebbe maturato il delitto Fragalà.
Era stato tradito dalla voglia di rientrare nel giro degli affari sporchi e dagli affetti. I poliziotti venezuelani lo bloccarono in un centro commerciale. Le indicazioni dei colleghi della Catturandi della squadra mobile di Palermo erano state fin troppo precise. Grazie alle intercettazioni erano giunti fino alla cittadina di Porlamar. Il boss era appena uscito dal centro commerciale Sambil, poco distante dal residence in cui aveva vissuto negli ultimi anni. Bonomolo negò la sua identità spacciandosi per un turista italiano in vacanza.
Poi, aveva capito che era inutile continuare a fingere. Confermò la sua identità e disse subito, e a scanso di equivoci, di non avere alcuna intenzione di collaborare con la giustizia. Potrebbe averci ripensato. Nei mesi precedenti all’arresto aveva intensificato i contatti con i familiari. Una girandola di conversazioni iniziata con una una telefonata partita da una cabina davanti a un supermercato di via Lanza di Scalea verso un numero venezuelano. Dall’altro capo della cornetta c’era Angelo Garofalo, il nome con cui Bonomolo camuffava la sua vera identità. Altre volte aveva usato la pagina Facebook aperta con un altro alias, Angelo Margarita.
Nei giorni scorsi sono arrivate le rivelazioni sull’omicidio Fragalà apprese in carcere. Avrebbe ragione Chiarello, il pentito che ha fatto riaprire l’inchiesta sul delitto nella stessa direzione della precedente indagine dei carabinieri del Comando provinciale.