CATANIA – La condanna è di 30 anni di carcere. Antonio Magro, accusato di essere il mandante dell’omicidio di Maurizio Maccarrone freddato il 14 novembre 2014 ad Adrano, è stato condannato dal Gup Pietro Currò. Un’esecuzione in perfetto stile mafioso ma che non avrebbe nulla a che fare con la mafia. Secondo le indagini, infatti, Antonino Magro non avrebbe gradito il fatto che Maccarrone avrebbe iniziato una relazione amorosa con una sua vecchia fiamma. Una voce di paese, in realtà, più che una realtà. Ma sarebbe bastato questo a far sentire l’onore ferito del boss Magro. L’imputato è ritenuto un uomo di peso del clan Morabito-Rapisarda di Paternò.
A puntare il dito contro di lui un pentito. Gaetano Di Marco, detto “caliddu”, sarebbe stato uno che conta nella mafia adranita con un posto d’onore nel clan Scalisi di Adrano. Referenti, come i Morabito-Rapisarda di Paternò, dei Laudani di Catania nel cosiddetto “triangolo della morte”. Il collaboratore di giustizia ha raccontato agli inquirenti che l’omicidio di Maurizio Maccarrone, anche se riconducibile a un movente passionale, sarebbe maturato nell’ambito dei gruppi mafiosi operanti nel triangolo della morte, Paternò-Adrano-Biancavilla. Le sue rivelazioni sono state il pezzo mancante che ha permesso di completare il puzzle già composto dalle indagini della Squadra Mobile.
Inchiesta che ha come prova principe le immagini choc dell’omicidio: una telecamera ha infatti immortalato Maccarrone affiancato dai killer a bordo di uno scooter e poi i colpi mortali.
Nel processo si è costituita parte civile la moglie della vittima, assistita dall’avvocato Pietro Scarvaglieri. Il Gup Pietro Currò depositerà le motivazioni tra 90 giorni. I difensori di Magro – gli avvocati Eugenio de Luca e il prof. Guido Ziccone – attendono di leggerle ma sono già pronti ad impugnare la sentenza di primo grado. I due legali hanno sempre parlato di processo indiziario. Il primo capitolo giudiziario intanto si è concluso con una condanna a 30 anni per omicidio.