Svuotato in parte delle sue competenze lo era già stato. Negli anni Novanta con la cessione al Banco di Roma e quindi a Capitalia e, dal 2007, con il passaggio in Unicredit (matrimonio siglato dall’allora presidente Casare Geronzi). Adesso, però, il Banco di Sicilia sembra destinato a restare solo un ricordo nelle menti di coloro che hanno creduto nell’importanza di un istituto di credito fortemente radicato nel territorio. Tra i progetti di piazza Cordusio, infatti, ci sarebbe quello di una maxi fusione che, entro novembre 2010, eliminerebbe gli organi di autogoverno della banca siciliana. Niente più presidente, consiglio di amministrazione, direttore generale e capo del personale. Tradotto, il Bds sarebbe destinato a divenmtare una semplice divisione territoriale di Unicredit, dopo che già dal 2008 l’istituto di piazzale Ungheria non gestisce più il corporate e i mutui. E a rischio è anche il marchio del Banco, che potrebbe scomparire del tutto o trasformarsi in “Unicredit Banco di Sicilia”.
Una sostanziale inversione di tendenza rispetto a quanto fatto finora con la creazione del cosiddetto modello divisionale che porterebbe alla creazione di una banca unica con la fusione di Banco di Sicilia, Unicredit Banca di Roma, Unicredit Banca, Unicredit Private Banking e Unicredit Corporate Banking. E si parla già di oltre settemila esuberi. A lanciare l’allarme è la Fiba Cisl: “Intanto – dichiarano Camillo Bongiovì e Gabriele Urzì rispettivamente coordinatore Fiba Cisl Bds/Unicredit Group e dirigente nazionale della Fiba Cisl – l’operazione di fusione sarà oggetto di un comitato strategico del Gruppo che si terrà domani per cui è prematuro esprimere giudizi su un progetto dai contorni ancora tutti da definire. È ovvio che se l’operazione si dovesse fare ci preoccupano non poco i livelli occupazionali che vanno garantiti, in quanto un’operazione di questa portata genererebbe migliaia di esuberi (almeno 5.000 a seguito della unificazione delle banche retail e 2.000 per la fusione di Corporate e Private nella banca unica)”. “Su questo – affermano i due sindacalisti – non faremo sconti a nessuno, come sul mantenimento del ruolo strategico del Banco nell’isola con un suo marchio ben definito. Di questi esuberi è presumibile pensare che oltre un migliaio interesserebbero il Banco di Sicilia con gravissime ripercussioni sul versante occupazionale, la probabile scomparsa della Direzione Centrale e delle Strutture di Governo e con la conseguente problematica connessa alla collocazione delle risorse in eccesso”.
Un problema, quello degli esuberi, che Unicredit starebbe provando a far rientrare mettendo in campo un programma di prepensionamenti gestiti attraverso il Fondo esuberi dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana. Il Fondo copre però fino ad un massimo di cinque anni. Troppo poco per una fetta di prepensionamenti che, comunque, non raggiungerebbero la soglia per la quiescenza. Ed ecco che, secondo i bene informati, sul tavolo delle trattative tra l’Abi e l’Azienda ci sarebbe anche la possibilità di incrementare di 24 mesi il periodo di copertura. Quindi un 5+2 ancora tutto da studiare, che potrebbe portare, però, ad una riduzione della copertura mensile attualmente garantita.
“Quello che è singolare – continuano Bongiovì e Urzì – è il ruolo della Fondazione Bds che da mesi ha mancato di indicare i consiglieri in propria quota, seguendo l’esempio negativo del governatore Lombardo. Complessivamente, quattro poltrone vuote su tredici. Da mesi scriviamo e sollecitiamo Regione e Fondazione a procedere alla nomina dei consiglieri che, pur rappresentando la quota di minoranza, rappresentano le istituzioni pubbliche e avrebbero potuto incidere sugli asset del Banco”.
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