Quale futuro per la sinistra? |Dem siciliani: no a nuove sigle - Live Sicilia

Quale futuro per la sinistra? |Dem siciliani: no a nuove sigle

Il dibattito nel Pd. “Chi pensa che la gente si innamori se cambiamo nome, non ha capito niente”. E i potenziali alleati...

Gli scenari
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PALERMO – Cosa c’è nel futuro del Pd e della sinistra italiana? Dopo il trauma della sconfitta elettorale alle Politiche, con il supplemento delle amministrative che hanno visto i dem arretrare nelle storiche roccaforti rosse, il dibattito a livello nazionale prosegue. Anche i vista dell’assemblea del 7 luglio, che potrebbe eleggere subito il segretario o andare al congresso, per il quale il nome in pole position è quello di Nicola Zingaretti. O magari eleggere un segretario traghettatore, in questo caso lo stesso Maurizio Martina. Ma al di là del futuro prossimo, il tema di questi giorni è la prospettiva del partito. C’è chi parla apertamente di superarlo e pensa a un “fronte repubblicano” antipopulista, come Carlo Calenda. C’è chi guarda a un ritorno alle radici di sinistra. Il dibattito è aperto e dalla Sicilia ovviamente si guarda con interesse a dove potrà portare.

I big siciliani del Pd non sembrano farsi sedurre dall’idea di un nuovo partito. Non è il cambio di nome o di sigla che potrà salvare i dem, concordano. Ma il tornare a parlare agli elettori di temi concreti. “L’aggettivo ‘nuovo’ è qualcosa che si usa per nascondere il sostantivo. Il tema non è se saremo nuovi, è cosa saremo. Il ‘nuovismo’ è stata la grande impostura di questi anni, dalla Rottamazione a scendere”, commenta il deputato regionale Antonello Cracolici. Un cambio di sigla non convince nemmeno Baldo Gucciardi: “Le sigle sono sigle, superare la sigla è inutile – dice il deputato regionale -. Bisogna ricollegarsi con le istanze e i sentimenti dei cittadini con una proposta politica che ridia al partito l’appeal che ha perduto”. Giuseppe Lupo, capogruppo all’Ars, la mette così: “Non credo che servirebbe a nulla cambiare il nome. Il problema è rilanciare il progetto di un partito aperto alla partecipazione dei corpi intermedi, il volontariato, l’associazionismo. Il problema non è andare oltre il Pd, è andare oltre le correnti del Pd”. Riassume Gucciardi: “Se qualcuno pensa che la gente si innamori di nuovo di una sigla diversa secondo me non ha capito niente”.

Pur senza cambiare nome, però, il Pd deve cambiare, secondo i suoi dirigenti siciliani. “Un partito non parte azzerando ciò che è per fare qualcosa che non si sa cosa sarà – dice Cracolici – . Quest’idea non mi convince come modello. Un partito non può essere solo un luogo di resistenza, altrimenti è condannato a essere minoranza. Dobbiamo avere un’identità e non possiamo essere il partito che appare come quello della gestione del potere”. Già, ma quale identità? Come caratterizzare il messaggio del Pd agli elettori, in uno scenario politico che vede concorrenti populisti latori di messaggi chiari? “Serve unità interna e pluralismo – risponde Lupo – . Per combattere le diseguaglianze: e la prima è il divario Nord-Sud. Il Pd deve fare del Mezzogiorno la propria priorità. Il Pd è l’unico argine al populismo parolaio e inconcludente che rischia di travolgere l’Italia”.

Per il segretario Fausto Raciti non si può fare “quello che la sinistra ha fatto negli ultimi 25 anni, cioè cambiare nome per lasciare intatti i gruppi dirigenti”. Quanto ai contenuti, Raciti mette in relazione con l’exploit dei populisti un certo giustizialismo che ha infettato la storia della recente della sinistra: “Bisogna invertire la tendenza di un centrosinistra, Pd incluso, che è stato molto all’inseguimento della stagione giustizialista sui temi costituzionali e che attengono allo stato di diritto e alle libertà individuali, e che invece è molto prudente sulle questioni economiche e sociali. Dobbiamo porci noi il tema di come fare ripartire un Paese in cui il problema principale è la crisi del ceto medio. E dobbiamo dialogare con i nostri partner del Mediterraneo per mettere in discussione le regole europee”.

Allargare la prospettiva del partito è una esigenza. “Bisogna lavorare sul profilo del Pd – dice Raciti –. Sono d’accordo con l’idea ‘da Tsipras a Macron’, cioè un Partito democratico largo, visto anche che è l’unico partito di opposizione in Italia”. Opposizione la parola chiave. “Il Pd è l’unico argine al populismo parolaio e inconcludente che rischia di travolgere l’Italia”, commenta Lupo. Ma sul punto , c’è chi richiama proprio alla matrice popolare perduta del partito. “Io nasco e rimango ‘populista’ – dice Mila Spicola, già vicesegretario regionale –. Per come intendo io la parola, per come deve essere un partito popolare, il populismo non può essere una ragione astratta per eludere le richieste del popolo. Se io ho tutti i bambini senza l’asilo, l’istanza di questi bambini è populismo?”.

Servirebbe anche un esame di coscienza. “Non abbiamo gestito bene l’immigrazione e non lo stiamo dicendo – osserva Spicola –. Le uniche che hanno gestito l’integrazione sono state le maestre”.

Di certo, a livello regionale, è ora di mettere mano ai congressi. Se ne parlerà in autunno, dice Raciti. “Io sono stato forse il primo in Italia a dire che era necessario un congresso – ricorda al riguardo Lupo -, mi riferivo alla Sicilia. Continuo a pensarlo, oggi è più urgente che mai”.

E fuori dal Pd? A sinistra si guarda al futuro sperando in radicali cambiamenti. Come fa Claudio Fava, che parla di “ripartire da zero” per battere la destra “sovranista e primitiva”. “Mi piacerebbe – scrive il deputato regionale dei Cento Passi – che tra sei mesi non una delle sigle che hanno segnato l’inabissamento dell’intero fronte democratico nel nostro paese sia ancora in vita. Ma che tutte insieme concorrano a convocare una Costituente per un soggetto politico. Che non sia somma né rimedio né eredità ma parola nuova, corso nuovo, cammino nuovo”. Sempre a sinistra del Pd, Articolo 1 sta lanciando la fase congressuale. I bersaniani, reduci da prestazioni elettorali non entusiasmanti, sperano in un “percorso comune” con altri soggetti di sinistra: “Rientrare nel Pd non credo che serva – dice Maria Flavia Timbro, alle ultime amministrative candidata come vicesindaco dal centrosinistra a Messina -. Ma serve un cammino comune e bisogna parlarsi. Incaponirsi e frammentarsi in questo momento non ci aiuta. Il nemico è fuori”.


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