A distanza di qualche giorno, forse, si può tornare sull’ultima polemica che ha incrociato i percorsi dell’antimafia e di Totò Cuffaro, per trarne una riflessione pacata. La festa nuziale del figlio del segretario della Dc, in contemporanea con l’anniversario di via D’Amelio, ha provocato incandescenti controversie. Ed era scontato che fosse così.
La spinosa questione chiama in causa due figure su tutte: Cuffaro padre e il presidente dell’Ars, attualmente sotto inchiesta, Gaetano Galvagno. Per motivi di opportunità.
Totò Cuffaro è stato condannato per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. Successivamente riabilitato e tornato al centro della politica siciliana, avrebbe l’occasione di candidarsi, però non lo farà, come ha dichiarato in una intervista al nostro giornale.
“Un peccato di superficialità”
Nello stesso spazio ha detto sul punto: “Non ci ho pensato, non ci abbiamo pensato. Altrimenti, riflettendoci, avremmo spostato tutto. Un peccato di superficialità di cui veramente mi dolgo”.
L‘atto di dolore riconosce l’errore. Un uomo pubblico con la notissima storia di Cuffaro – dove è stata scritta la parola ‘mafia’ – deve sempre astenersi da passaggi simbolicamente e oggettivamente equivoci, evitando ‘distrazioni’ foriere di turbamento per la coscienza civile. Nemmeno la leggerezza o le dimenticanze sono permesse.
A lui, più che ad altri, è richiesta l’intransigenza più attenta sulle cose di antimafia. Il rigore assoluto rappresenta un viatico ineludibile, specialmente per il ritorno all’impegno politico, nella Terra dei Martiri.
Il ‘caso Galvagno’
Un altro inciampo, nella medesima occasione, ha riguardato il presidente Galvagno, coinvolto nella nota indagine. Distante dai riti dell’anniversario, l’inquilino di Palazzo dei Normanni, ha onorato l’invito festoso ed è rimbalzato sul telone del web in una posa ridente, con camicia bianca e cappellino d’ordinanza contro il sole.
Pure in questo caso sarebbe stata preferibile una discosta sobrietà. Chiunque possiede la sensibilità necessaria per comprendere l’incrocio di tutte le linee critiche in un solo evento.
I giorni sacri
Non frequentiamo ghigliottine metaforiche-social, né ci piacciono le indulgenze automatiche. Riflettere insieme è utile, nella prospettiva di una comunità che tiene ai suoi valori irrinunciabili.
Il 23 maggio e il 19 luglio rappresentano, da trentatré anni, la luce sofferta della speranza nata da un lutto immenso. Noi siciliani lo sappiamo bene. Oppure, dovremmo.
Non si può sbagliare, nella memoria sacra di una terribile esperienza collettiva. Nessuno può, soprattutto se coltiva una dimensione che va oltre se stesso. Certi ruoli e certe vicende, nella loro esclusiva angolazione morale, hanno immancabilmente l’onere della prova.
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