PALERMO – Esiste un “metodo” Cuffaro, ma non un’associazione a delinquere capeggiata dal segretario della Democrazia Cristiana ed ex presidente della Regione. L’ipotesi, che aggraverebbe di parecchio il quadro accusatorio, non regge alla valutazione del giudice per le indagini preliminari.
Cuffaro e “l’associazione a delinquere”
La Procura ipotizza che Cuffaro abbia organizzato un sistema nel quale un ruolo fondamentale avrebbero il deputato regionale della Dc, Carmelo Pace, il suo storico segretario, Vito Raso, e Antonio Abbonato. Raso, quando è venuta fuori la notizia dell’inchiesta, è stato allontanato dall’assessorato regionale alla famiglia dove lavorava come segretario particolare dell’assessora Nuccia Albano, anche lei del partito di Cuffaro. Abbonato è dipendente dello stesso assessorato.
Il sistema sarebbe stato alimentato grazie alle nomine nelle aziende sanitarie e nei consorzi di bonifica, condizionando concorsi, gare, appalti e procedure amministrative.
“Metodo clientelare”
“Si ritiene che gli elementi illustrati non siano idonei, almeno allo stato, a consentire la configurabilità del reato in contestazione”, ha scritto il giudice Carmen Salustro. In un passaggio successivo parla di “metodo clientelare del politico di commettere (anche) atti illeciti per ampliare il bacino elettorale del partito di cui era ed è segretario”.
“Seppure si condivida l’impostazione accusatoria nella parte in cui mette in luce l’esistenza di una sorta di ‘metodo’ posto in essere costantemente dall’indagato Cuffaro – si legge ancora nell’ordinanza di custodia cautelare – allo scopo di realizzare i propri interessi e si ritengano, altresì, sussistenti vari e interessanti spunti investigativi legati a più vicende nelle quali l’indagato risulta coinvolto, non si reputa del pari che la complessiva lettura dei dati raccolti e finora sottoposti a valutazione possa indurre a concludere nel senso di confermare l’esistenza di un’associazione tra questi e gli altri coindagati”.
Condivisione di intenti, adesione a un unico partito politico, interessi comuni non bastano a rendere “configurabile l’esistenza di una struttura organizzativa stabile finalizzata alla realizzazione di reati contro la pubblica amministrazione”.
I reati fine
Secondo l’impostazione della Procura, diversi sarebbero i reati fine dell’associazione a delinquere: la sponsorizzazione degli imprenditori edili Capizzi di Bronte con il capo della Protezione civile regionale, Salvo Cocina, (non è indagato, ma nella richiesta della Procura si parlava addirittura di dazioni di denaro), i bandi dell’assessorato alla Famiglia conosciuti in anticipo grazie al dirigente regionale Maria Letizia Di Liberti (lei sì indagata) in modo da favorire gli “amici”, l‘acquisizione di notizie riservate su indagini in corso attraverso le soffiate di uomini in divisa.
La nuova informativa
A fronte di diciassette richieste di arresti domiciliari avanzate dalla Procura il Gip ne ha accolto tre. Altrettante sono le misure dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. È evidente che una grossa fetta della ricostruzione accusatoria in questa fase cautelare non abbia superato la valutazione del giudice. Lo stesso Gip, però, usa più volte la frase “allo stato”. Leggendo gli atti è netta la sensazione che ci siano vicende investigative ancora in itinere.
Il 27 novembre, dunque pochi giorni fa, d’altra parte la Procura di Palermo ha depositato una nuova informativa nella convinzione che potesse puntellare l’ipotesi dell’associazione a delinquere. Un capitolo ancora top secret.
La Procura fa riferimento ad “un altro illecito affare che avrebbe interessato Cuffaro e la Cta Gea srl (una società riconducibile alla famiglia Cuffaro ndr) e la ‘regionalizzazione’ dell’ente Cefpas”. Cefpas sta per Centro per la Formazione Permanente e l’Aggiornamento del personale del Servizio sanitario, ed è un organismo della Regione siciliana che si occupa della formazione e dell’aggiornamento del personale del Servizio sanitario nazionale nell’Isola.
“Emergenze investigative non presenti in atti al momento del deposito della richiesta o comunque non note alla difesa”, ha scritto al Gip. Dunque “allo stato” non utilizzabili.

