Dopo tre giorni di viaggio in carrozza sotto una calura inclemente nell’arida campagna estiva siciliana, la famiglia del Principe di Salina, con annessa servitù, raggiunge l’immenso Palazzo avito di Donnafugata, posto al centro del paese. La residenza di Donnafugata del celebre romanzo, “Il Gattopardo”, è una magione di pura invenzione, ispirata alle dimore di famiglia dello scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa. L’arrivo in questo luogo letterario è un momento chiave del racconto: il protagonista Don Fabrizio, uomo intelligente e intuitivo, comprende che la situazione politica in Sicilia è cambiata, dopo l’impresa dei Mille, ma non può valutare ancora gli effetti di questi avvenimenti. Durante il viaggio verso il feudo, il principe cerca di immaginare la reazione dei sudditi nel prossimo incontro e si prepara alle peggiori prospettive. Al contrario, il paese lo accoglie festosamente al suono della banda e delle campane della chiesa madre. Il principe, pur sorpreso dall’atmosfera gioiosa, intuisce che la conclusione dell’avventura garibaldina possa esaurirsi nel trasformismo caratteristico della prassi politica siciliana e in una passiva accettazione da parte delle classi sociali.
Da questa visione pessimistica derivano nell’uso comune sia l’aggettivo, gattopardesco, atteggiamento fautore d’immobilismo, che il sostantivo gattopardismo, ossia la volontà di cristallizzare il potere e i privilegi della propria classe. Due parole molto usate oggi quando si parla della Sicilia e, soprattutto, della sua classe dirigente. L’ambientazione del romanzo è del 1860, ma l’autore si riferisce ai suoi contemporanei, in una lucide analisi dell’aristocrazia vista dal suo interno. A distanza di sessant’anni dalla pubblicazione del romanzo, in parte autobiografico, queste definizioni appaiono poco adatte a descrivere alcuni degli eredi di quell’antica nobiltà raccontata da Tomasi di Lampedusa, che in realtà s’impegnano a mantenere le loro dimore storiche, importanti testimonianze di civiltà e cultura per la collettività, cercando di metterle a reddito per la necessità di coprire gli alti costi di mantenimento.
Uno dei personaggi reali, ai quali s’ispirò Tomasi di Lampedusa per il protagonista del suo romanzo fu l’eclettico Corrado Arezzo De Spuches (1824-1895), appassionato di astronomia e alchimia, barone di Donnafugata, storico latifondo di Ragusa. Il nome corrisponde ad un feudo reale, con un Castello (oggi di proprietà del Comune di Ragusa) ed un palazzo, conosciuti entrambi con questo titolo evocativo. Oggi il grande neoclassico Palazzo Donnafugata caratterizza il centro storico di Ragusa Ibla, tramandato per discendenza femminile, è tuttora proprietà degli eredi del barone Corrado. All’interno si trova una quadreria con alcuni straordinari capolavori, come “San Paolo eremita” di José de Ribera, detto lo Spagnoletto; una “Madonna in trono” del fiammingo Hans Memling; un autoritratto di Salvator Rosa e una “Madonna con bambino”, attribuita ad Antonello da Messina. Queste opere furono acquistate a metà ottocento dal barone Corrado, uomo di grande apertura culturale e idee libertarie, Senatore del Regno d’Italia. Egli aveva ristrutturato questo palazzo cittadino principalmente per ricevere ospiti illustri – da Francesco Crispi a Vincenzo Bellini – e imbandire feste memorabili. Il barone aveva fatto costruire un piccolo e pregevole teatro da cento posti dove mettere in scena l’avanguardia della cultura dell’epoca. Un’arena coperta alla quale gli ospiti potevano accedere dalla corte interna del palazzo, attraversando il giardino all’italiana (uno scorcio suggestivo che Pietro Germi ha immortalato nel film del 1961, “Divorzio all’italiana”) ma anche pensata per possibili “clienti” esterni, con un accesso direttamente su strada. Oggi infatti, il teatro di Donnafugata è aperto al pubblico ed è diventato un riferimento culturale importante per Ragusa, con un cartellone in continua crescita e, da quasi dieci anni, è gestito dalle giovani trentenni pronipoti di Maria Paternò Arezzo che abitano i piani superiori della sontuosa residenza, le sorelle Vicky e Costanza Di Quattro, coadiuvate nella gestione dall’amica Clorinda Arezzo. Una passione per l’arte e il palcoscenico trasmessa da generazioni e, soprattutto dal padre Pietro Di Quattro, che loro amano definire “teatromane”, utilizzando un neologismo barocco che ben si addice a questi luoghi, che ha ristrutturato il teatro nel 2004. Oggi, questo spazio è annoverato tra i più piccoli teatri d’Europa ed insignito nel 2006 del prestigioso premio Eurispes “Le cento eccellenze italiane”.
La passione dei gattopardi per l’arte e il teatro è nota e non si può non ricordare l’instancabile attività del barone Francesco Agnello (1931-2010), allievo di Tomasi di Lampedusa, conosciuto come, Zwölftonbaron, ovvero il “baronedodecafonico”. Egli fu tra i fondatori delle rivoluzionarie “Settimane di Nuova Musica”, nei primi anni Sessanta a Palermo, incontri di rilevanza mondiale che portarono in città il Gruppo ’63, anello di congiunzione tra le diverse forme espressive delle arti visive, dalla poesia alla letteratura. Da presidente dell’Orchestra Sinfonica Siciliana negli anni Sessanta, il barone Agnello considerò la musica come un bene comune e strumento fondamentale di formazione e vita democratica. Fu in grado di tradurre questo suo pensiero nella legislazione dello Stato e nel 1978 fondò a Roma il CIDIM (Centro Italiano Di Iniziativa Musicale), determinante per la promozione della musica colta, classica e contemporanea, nel nostro Paese e all’estero.
Gattopardi tenaci, resistenti, la cui immagine si oppone a quella di una pigrizia atavica con la quale talvolta sono stati rappresentati nell’immaginario comune. Oggi in Sicilia, molti degli eredi di queste dimore architettonicamente straordinarie, ricche di storia e di opere d’arte s’ingegnano per mantenere le loro eredità storiche mettendo a reddito questi luoghi eccezionali per eventi e convegni o promuovendo attività culturali di alto profilo.
In ambito musicale, spicca la sala della musica di Palazzo Biscari a Catania, definito dagli storici dell’arte come uno dei più affascinanti edifici barocchi d’Italia, dimora dell’antica famiglia patrizia siciliana dei Paternò Castello, una casa-museo oggi abitata dai loro discendenti, i principi Moncada. Per secoli, i viaggiatori che arrivavano nel capoluogo etneo dal mare, venivano accolti dall’imponente prospetto barocco della dimora del principe di Biscari, costruito su bastioni cinquecenteschi, ricco di figure allegoriche scolpite in bianca pietra calcarea e in netto contrasto con i muri in pietra lavica nera. Putti circondati da ghirlande con fichi e melograni simboleggiano l’abbondanza, la prosperità, la fertilità, la saggezza, e ancora oggi suscitano la meraviglia di tutti i passanti. All’interno, il salone da ballo è l’apoteosi del Rococò, con specchi e volute di stucchi che sembrano confluire visivamente nella grande cupola o loggia della musica, sul cui ballatoio un tempo si disponeva l’orchestra. Un salone che ha resistito alla furia della storia, trasformandosi anche in campo da tennis, quando il palazzo è stato requisito dagli inglesi durante la Seconda Guerra Mondiale.
In un interessante parallelo, precedente a Corrado Arezzo, anche Ignazio Paternò Castello V principe di Biscari, viaggiatore e archeologo, oltre ad un museo fece edificare un teatro privato nel suo palazzo con due palchi e con un accesso esterno per il pubblico, aperto alle rappresentazioni pubbliche in attesa che l’Opera etnea- all’epoca ancora in costruzione- fosse completata.
L’energia culturale e la vocazione al collezionismo dei gattopardi si può forse riassumere pienamente nelle figure carismatiche dei marchesi di Valle Perrotta, Marida e Annibale Berlingieri, che oltre dieci anni fa hanno ereditato e ristrutturato una delle più sontuose residenze di Palermo, Palazzo Mazzarino, che domina la prima parte di via Maqueda, vicino al Teatro Massimo. Instancabili custodi, conservatori e promotori di dimore storiche ereditate in tutta l’Italia, da Venezia alla Basilicata, i Berlingieri uniscono la tutela e la conservazione della storia alla passione per la ricerca di talenti creativi internazionali. Dopo aver riportato Palazzo Mazzarino agli antichi splendori, edificio che occupa un intero isolato del capoluogo siciliano, lo hanno allestito con opere degne di un museo d’arte contemporanea internazionale, in dialogo con l’architettura e i capolavori del passato. Così le gigantesche teche ogivali con i butterfly-paintings della superstar dell’arte Damien Hirst, simili a finestre cloisonné delle cattedrali gotiche, circondano tutte le pareti del Salone della Minerva al piano nobile. La grande scultura ottocentesca di Valerio Villareale è posta in relazione con le opere d’arte contemporanea di Hirst, realizzate mescolando la pittura con migliaia di vere ali di coloratissime farfalle poste in caleidoscopiche composizioni geometriche. In una continua valorizzazione dell’antico attraverso il contemporaneo, le scuderie di Palazzo Mazzarino si preparano ad ospitare grandi progetti di arte site-specific per l’anno prossimo, in vista di Manifesta 12, la grande biennale nomade di arte contemporanea e delle manifestazioni in programma per Palermo Capitale della Cultura.