“L’attività svolta dall’imputato mediante interrogazione ai dati è risultata rigorosamente rientrante nelle facoltà a lui consentite a seguito del conferimento di incarico di consulente dell’autorità giudiziaria”. Nelle motivazioni il giudice Marina Finiti spiega il perché dell’assoluzione di Gioacchino Genchi. La Procura di Roma lo accusava di aver eseguito numerosi accessi abusivi al sistema informatico Siatel, l’anagrafe dei tributi locali dell’agenzia delle Entrate. Secondo l’ipotesi caduta davanti al giudice per l’udienza preliminare (lo stesso pubblico ministero ha chiesto l’assoluzione con formula piena) gli accessi di Genchi, bollati “senza giustificazioni investigative o consulenziali”, gli erano serviti per controllare le posizioni di 238 persone fisiche e di otto enti e aziende.
Alla base delle indagini c’erano il rapporto del direttore dell’Agenzia, Stefano Crociata, e gli accertamenti del Ros dei carabinieri. Niente di tutto questo. “Non si è trattato di accessi per procedere a indagini tributarie o patrimoniali non consentite – si legge nelle motivazioni – ma di interrogazioni di pochi secondi di codici fiscali dei sostituti di imposta che hanno erogato redditi a soggetti in relazione ai quali era necessario procedere all’identificazione mediante il ricorso al sistema Siatel”. Il caso più eclatante per cui Genchi era stato chiamato in causa riguardava il maresciallo del Ros Giorgio Riolo. E’ bastato produrre la sentenza di condanna di Riolo per spiegare che il sottufficiale era una delle talpe alla Procura di Palermo. Una rete capace di conoscere in anticipo notizie riservate su delicate indagini. Genchi è stato di recente destituito dalla polizia per alcune sue dichiarazioni nel corso del congresso di Italia dei Valori. E’ pendente un suo ricorso al Tar.