PALERMO – Assolta perché non imputabile al momento del tragico evento. Era incapace di intendere e volere. I giudici della Corte di appello di Palermo, presieduta da Angelo Pellino, confermano la sentenza di primo grado per Valentina Pilato, la mamma che abbandonò la figlia neonata in un cassonetto, uccidendola. L’unica novità è l’applicazione della libertà vigilata per tre anni con l’obbligo di seguire le cure psichiatriche a cui viene già sottoposta. La Procura generale aveva chiesto la condanna a 21 anni.
Secondo l’accusa, la donna era nel pieno delle sue facoltà mentali quel tragico giorno di novembre del 2014. Sul punto, però, c’è stato uno scontro fra periti. Ha retto quella in cui fu stabilito che la giovane mamma si liberò della piccola come si fa di “un oggetto pericoloso che la mente della madre si rifiuta di considerare un figlio”. Una tesi in linea con quella del perito della Pilato, difesa dagli avvocati Enrico Tignini e Dario Falzone.
Al contrario, secondo l’accusa che non ha retto, il suo sarebbe stato un piano lucido per sbarazzarsi della bambina: dall’alterazione del test di gravidanza – i familiari le avevano chiesto di farlo e lei ne aveva falsificato gli esiti -, all’occultamento della gravidanza stessa, taciuta, per mesi, ai genitori e al marito. Pilato, inoltre, avrebbe pianificato nei particolari le sue azioni, attendendo che i familiari dormissero per partorire, uscire di casa e lasciare la neonata tra i rifiuti, e facendo, inoltre, sparire tutte le tracce della nascita della piccola. La donna è tornata a vivere con il marito e gli altri figli.