AGRIGENTO – Il magistrato Giovanni Di Leo si è insediato questa mattina alla guida della Procura della Repubblica di Agrigento. Le prime parole del procuratore capo sono un tributo alla memoria del giudice Rosario Livatino.
“Ho avuto dei maestri in questa città e dei compagni di viaggio con i quali sono sempre rimasti fermi i rapporti di amicizia, di stima e da parte mia di profonda gratitudine per ciò che da loro ho imparato. Ho il rammarico che, tra questi colleghi, non vi sia stato Rosario Livatino. Non mi è stato dato di imparare da lui, se non da morto. E ho imparato dai suoi provvedimenti e dai racconti che mi sono stati fatti – ha detto Di Leo -. Livatino l’ho conosciuto per un periodo troppo breve, mai sopra le righe, mai scostante o scortese, ma sempre aperto e con il sorriso nel suo ruolo di giudice che cercava giustizia con la ‘G’ maiuscola anche nelle piccole cose”.
La cerimonia di insediamento
Il neo procuratore capo di Agrigento, Giovanni Di Leo, al momento dell’insediamento, ha anche ricordato come 33 anni fa era arrivato, nella città dei Templi, “con la prospettiva di un ruolo di giudice civile, per il quale mi ero adeguatamente formato con un collega, grande civilista”.
Alla cerimonia di insediamento erano presenti il presidente del tribunale Pietro Maria Falcone, il procuratore generale Lia Sava, il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia, il procuratore aggiunto Salvatore Vella, il questore Emanuele Ricifari, i comandanti provinciali di carabinieri e guardia di finanza.
Di Leo: “Maestri in questa città”
“Troppi episodi, storie, esperienze tragiche e coinvolgenti oggi mi hanno riportato in questa città, a dirigere una Procura di giovani magistrati, quasi o alle prime esperienze, come ero io allora – ha aggiunto, con emozione, Di Leo – . Dall’esperienza agrigentina ho imparato, e non ho mai dimenticato, da Rosario Livatino, da Fabio Salamone, da Totò Cardinale, da Roberto Sajeva di cui ricordo una straordinaaria ironica lezione di ‘umiltà’ impartita a me e a Gigi Birritteri”.
“Esercitare le funzioni di magistrato non significa godere di un ‘potere’, ma esercitare un potere per servire un fine più alto: servire la legge, servire la società civile che si rivolge al potere giudiziario alla ricerca di giustizia, servire – ha sottolineato Di Leo – quell’ordine giudiziario di cui il pm è, dal punto di vista ordinamentale, una parte non solo necessaria, ma anche fondamentale se non altro in quanto è l’unico titolare dell’azione penale su un territorio. Essere procuratore della Repubblica significa chiedersi perché certe cose non funzionano o funzionano male, significa attivarsi per verificare se ci sono pietre negli ingranaggi”.
“Per perseguire la giustizia bisogna capire chi abbiamo di fronte”
Di Leo ha ricordato che si ha a che fare “con uomini e donne, con la loro dignità, le loro caratteristiche, i loro difetti e i loro pregi, con i loro errori, vizi, debolezze, con i loro risultati, sacrifici, aspettative e motivazioni. L’unico metodo valido per perseguire la giustizia nel rispetto della legge è cercare di capire chi abbiamo di fronte e per farlo occorre sempre rispetto, umiltà e apertura mentale e culturale. Ci vuole quel sorriso che aveva Rosario Livatino – ha detto – e al contempo la sua limpida ed onesta rigidità morale”.
“Massima attenzione per i reati sui deboli”
“Questo lavoro deve guardare al processo e non alla comunicazione e alla narrazione delle pure importanti operazioni di polizia giudiziaria che rassicurano i cittadini. Vi posso dire cosa non sarà la Procura di cui assumo la direzione: non sarà strumento di polemiche estranee all’esercizio rituale e imparziale dell’azione penale, non sarà la porta dove infilarsi per sfogare odi, invidie, sentimenti di vendetta e frustrazioni personali”, ha aggiunto il neo procuratore di Agrigento.
“Vi sarà attenzione per ogni denuncia, esposto e per ogni dichiarazione, ma quelle che si riveleranno strumentali e non motivate da serie ragioni di ricerca della giustizia saranno perseguite come la legge impone – ha chiarito il nuovo procuratore di Agrigento – . Vi sarà la massima attenzione per i reati che attentano ai ‘deboli’ della nostra società: agli anziani, alle donne, ai bambini, agli incapaci, ai profughi, come all’integrità dei beni privati, ma soprattutto a quelle risorse pubbliche che sono il frutto dei sacrifici di chi le tasse le paga. E nei limiti delle nostre forze e capacità vi sarà la massima attenzione per tutto il resto: dal territorio all’ambiente, alla civile e sociale convivenza. Vi sarà attenzione anche a tutti coloro che caduti nel reato intendono avviare un percorso di recupero, secondo anche le nuove misure e gli intendimenti della riforma Cartabia in tema di giustizia riparativa”.
“Mi adopererò perché non sia sempre il piccolo delinquente, il povero o il disgraziato il solo a soggiornare nelle nostre non sempre impeccabili case di reclusione. Il carcere – ha concluso Di Leo- deve essere l’estrema ratio non solo nella fase cautelare, ma anche quando, pronunciata la sentenza definitiva, è nostro dovere civile oltre che cristiano tendere una mano a chi vuole, sinceramente riemergere”.