Il “gigante buono” li ha lasciati all’alba di quest’anno. Davide Scarfeo è morto in un incidente stradale, in sella alla sua moto, nel raccordo autostradale di Trapani il primo gennaio del 2011 e da quel giorno la sua famiglia ferita e mutilata si è svegliata ogni mattina con un solo obiettivo: avere giustizia.
La madre di Davide, Marina, prima lavorava, era una donna iperattiva, come ci racconta il fratello della vittima, Michele, mentre adesso si dedica solo all’associazione nata per Davide, contro la giustizia italiana che, dicono, non punisce abbastanza i pirati della strada.
“E’ terribile vedere mia madre oggi e ricordarsi com’era. Lei è presidente della nostra associazione, io sono il vice mentre mia sorella Giuliana è consigliere – racconta Michele – e anche lei adesso ha lasciato tutto e si dedica solo a questo. Conviviamo tutti con la nostra disgrazia quotidianamente, conviviamo con il dolore e ci moriremo anche. Ce lo porteremo fino alla tomba”.
Quello per cui la famiglia Scarfeo combatte oggi e ha combattuto finora, insieme a moltissimi “compagni di viaggio” è la raccolta firme per l’approvazione di un referendum popolare che chiami “omicidio stradale” quello che oggi viene liquidato con “omicidio colposo”: una battaglia per istituire una legge che punisca questo tipo di omicidio. “Dobbiamo arrivare a 50.000 firme e siamo già a 45.000. Siamo praticamente a un passo dal traguardo. E questo certamente non grazie alle istituzioni che non hanno fatto nulla, ma a persone come ad esempio Stefano Guarneri, di Firenze, padre di Lorenzo, una ragazzo di 17 anni travolto da un pirata della strada. Ha combattuto moltissimo al nostro fianco. E’ grazie a persone come lui se siamo arrivati a queste cifre.” Anche Stefano Guarneri, ci spiega Michele, ha messo su un’associazione per avere giustizia e cambiare le leggi, inasprirle, contro le macchine della morte, cieche, per le strade. Ma ci dice, che a differenza sua Guarneri è stato molto sostenuto dalle istituzioni della sua città, come il sindaco di Firenze. Invece lui si è sentito solo. “Conosco molta gente a Palermo, ma quasi nessuno mi è stato vicino nella mia battaglia, concretamente”.
Adesso c’è un processo in corso sul caso di Davide: il conducente del mezzo che lo avrebbe tamponato è accusato di omicidio colposo ma è libero da allora. “E anche se fosse condannato- dice- non farebbe neanche un giorno di carcere. L’omicidio colposo non lo prevede. Per questo vogliamo questa legge. Niente ci riporterà in vita mio fratello ma almeno voglio giustizia, vorrei che venga considerato “omicidio volontario””.
Ci sono due avvocati che stanno seguendo il caso, esperti di vittime delle strade, ma ancora deve esserci la prima udienza. La data precisa Michele non la sa, forse a marzo, forse a maggio. Forse è che la battaglia per Davide è diventata alla fine una battaglia per tutti. Se c’è un colpevole vogliono che paghi, ma la cosa più importante, forse, oggi, è che paghino tutti quelli che per strada cambiano le direzioni delle vite altrui.
“Anche se passasse il referendum la legge non avrebbe valore retroattivo. Non ci servirebbe per fare giustizia per Davide. Vogliamo solo che chi causa la morte paghi come stiamo pagando noi, con la sofferenza. E’ una lotta per il futuro. E per la giustizia. E io stesso mi farò avanti in politica per questa ragione, per portare avanti questa battaglia. Il prossimo passo è intanto la serata organizzata al Country di Palermo sabato sera, l’occasione per raccogliere altre firme”.
(uno dei manifesti dell’associazione)