PALERMO – “Lo facevamo sempre”, disse l’avvocata Annalisa Lentini alla collega Angela Porcello, che da qualche giorno si trova in carcere con l’accusa di associazione mafiosa. Avrebbe fatto parte della cosca di Canicattì e nel frattempo aiutava, da legale, i mafiosi al 41 bis a trasmettere ordini all’esterno del carcere.
Che cosa facevano sempre? Secondo l’accusa, parlavano di retrodatare la consegna di atti giudiziari, falsificando le ricevute delle raccomandate per aggirare l’ostacolo delle scadenze giudiziarie.
In passato c’erano riusciti con la complicità di “Lillo”, che ad un certo punto però si era tirato indietro, e allora avevano coinvolto “Enzo”, sicuro della sua disponibilità.
“Lillo” ed “Enzo” sono titolari di agenzie di poste private. Pedine, secondo la Direzione distrettuale antimafia di Palermo, di un sistema “illecito e diffuso” attraverso cui i legali si sarebbero presi gioco di funzionari, cancellieri, giudici e pubblici ministeri. Per farlo, però, si sarebbero serviti dell’aiuto di alcuni dipendenti del ministero della Giustizia.
Le indagini sono partite da un caso che ha obbligato il procuratore aggiunto Paolo Guido e i sostituti Claudio Camilleri, Gianluca De Leo e Calogero Ferrara ad iniziare una complicata e lunga attività di controllo di numerosi fascicoli che riguardano indagati e imputati per mafia e non solo. I carabinieri del Ros di Palermo li stanno spulciano uno ad uno.
Il caso di partenza riguarda la posizione di Vincenzo Cangemi, condannato a 4 anni e 8 mesi per violenza sessuale. Porcello si accorse di avere dimenticato di impugnare la sentenza entro il termine. L’errore avrebbe mandato in carcere l’uomo e allora falsificò la datazione dell’atto con l’aiuto, secondo, l’accusa dei colleghi Annalisa Lentini e Vincenzo Lo Giudice, nipote del mafioso ed ex deputato Vincenzo Lo Giudice. Alla fine il pubblico ministero stoppò l’ordine di carcerazione, cadendo in buona fede nella trappola.
Dalle intercettazioni viene fuori un quadro sconfortante. Si parla di un
funzionario giudiziario compiacente al tribunale di Agrigento, un tale “Totò”, che una volta aveva “infilato nel registro” un ricorso tardivo. E di un altra manina interna al Tribunale della cui assenza si rammaricavano: “Non era lui, sennò me la sistemava”.
Ed ancora di un cancelliere che non era disposto ad aggiustare le carte. Al massimo poteva ritardare l’apposizione del bollo di irrevocabilità sulla una sentenza. “Ti prego come se fossi tua sorella… non la fare, te ne supplico”, gli diceva Porcello. Il cancelliere sembrava volerla accontentare: “Allora io l’irrevocabilità non l’ho fatta ancora… te la vedi in Corte d’Appello… cioè, per me, dico, non è un problema, ma la sentenza già è irrevocabile…”. Salvo ultimare la pratica in fretta, non appena l’avvocata andò via dal suo ufficio. Il tutto, però, senza mai segnalare il caso.
Ce n’è abbastanza per fare scrivere agli inquirenti che “le davvero non equivocabili risultanze investigative restituiscono un solido quadro probatorio circa l’avvenuta commissione di una sequenza di
reati contro la fede pubblica e contro l’autorità delle decisioni giudiziarie”.
A rendere “ancora più sconcertante l’intera vicenda vi è che il programma
delittuoso veniva ideato e realizzato da un avvocato, Porcello Angela, che
trovava a tal fine immediato e concreto appoggio in due suoi colleghi: gli
avvocati Lentini Annalisa e Lo Giudice Calogero. Tutti e tre i legali mostravano rara spregiudicatezza ed un totale disprezzo per il rispetto delle basilari regole procedurali che anzi, con condotte fraudolente, aggiravano senza timore, violando la legge ed al contempo mortificando le più elementari regole deontologiche”.
E i carabinieri si sono messi a spulciare tanti altri fascicoli giudiziari.