PALERMO – La Procura di Palermo chiude l’inchiesta e notifica l’avviso di conclusione delle indagini, preludio della richiesta di rinvio a giudizio, ad otto dipendenti della Gesip. Sono accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere, violenza, minaccia a corpo politico e amministrativo e interruzione di pubblico servizio. Nell’avviso di conclusione saltano fuori tre nomi nuovi rispetto al passato, segno che l’inchiesta si è allargata. E non è detto che non si vada oltre, visto che molte persone non sono state ancora identificate.
Oltre a Giacomo Giaconia, Salvatore Spatola e Francesco Madonia, Giuseppe Sanseverino e Maurizio Giannotta ci sono pure Matteo Fricano, Calogero Cesare Santomauro e Umberto Catanzaro. Secondo l’accusa, gli indagati non si sarebbero fermati di fronte a niente pur di fare valere le loro ragioni. Prefetti, sindaci, commissari, capi di gabinetto, poliziotti e finanzieri: nessuno poteva fermare la protesta dei capipopolo della Gesip. A firmare la chiusura delle indagini sono i pubblici mninisteri Sergio Barbiera, Enrico Bologna e Calogero Ferrara.
L’ipotesi è che gli indagati avessero dato vita ad “una struttura parallela rispetto alle ordinarie organizzazioni sindacali, il cui connotato saliente era costituito dal carattere violento delle forme di protesta attuate”. Da qui i blocchi stradali tra piazza Marina e Corso Vittorio Emanuele, le occupazioni della sede Gesip di via maggiore Toselli, i cassonetti divelti per le vie della città e gli scontri di piazza.
Giaconia sarebbe stato il più attivo. Da un lato si candidava a leader della lotta in difesa dei lavoratori distribuendo volantini con l’invito ad “AVERE FIDUCIA A NOI STESSI E NON AI SINDACATI E POLITICI CHE FANNO I LORO GIOCHI. SIAMO STANCHI E VOGLIAMO I NOSTRI DIRITTI”. Dall’altro, avrebbe fatto circolare notizie false per fomentare la piazza, dando una valenza negativa a quegli incontri nel corso dei quali, invece, si erano aperti spiragli nella vertenza dei lavoratori.
I telefoni degli indagati erano intercettati. Nelle loro conversazioni facevano capolino parole che sapevano di guerriglia. Uno dei loro bersagli preferiti era il liquidatore della Gesip, Giovanni La Bianca. Di lui Giaconia diceva: “chistu ca…avi mali intenzioni chistu i liquidat…o sinni va cu noiatri o puru u ieccamu i ddà ncapo…”. E Spatola non era più tenero: “Perciò ora si pigghia u culu, ra sieggia, puru i libra, e se ne va, perché non è che ha portato niente.. io non so che cavolo me ne devo fare di La Bianca, non mi ha portato niente completamente, ci ho portato tutte cose io, perciò ora se iddu vuole stare ddarintra ava stare sottoposto a mia, picchì i picciuli i ivu a capitare io, pi campare pi tutti”.
Anche Luisa Latella, il commissario che traghettò l’amministrazione dalla giunta Cammarata alle nuove elezioni, era “oggetto” delle attenzioni degli indagati: “Non è che io va cerco i picciuli e tu Latella vuole veniri a cumannari a me casa?… i dieci milioni non li ha portati la signora Latella, li ha portati un liquidatore.. avi a bieniri a cumannari i picciuli, perché io u vado a cercare rompendogli le palle, mi sembra una cosa un pochettino strana, perciò ci dici o liquidatore che ci convoca subito, lunedì, prima di mettere mano, nni convoca e ..incomp.. parramu nanticchiedda”.
Uno dei picchi della protesta fu certamente l’occupazione dell’ufficio elettorale del Comune in Piazza Giulio Cesare. Era il 2 maggio 2012, pochi giorni prima del voto amministrativo. Secondo gli investigatori, c’era un piano dietro. Il 28 aprile Madonia spiegava a Giaconia: “Cumpà… falli arrivare unne vuonnu cumpà… appena iddi un fannu sta delibera… cumpà…faciemu u maciellu cumpà! ma quale poblema c’è”. Giaconia: “… u capisti chi u 4 maggio ca vieni i venerdì… e duminica e lunedì ci sunnu le elezioni… anzi miegghiu e… anzi aviemu u tiempu tra domenica e lunedì… ho capito avremo u tiempu tra domenica e lunedì di irinni a barricare… iddi si fannu le elezioni e nuatri siemu tranquilli?”. Madonia: “… no cumpà… nuatri tranquilli un ci siemu… ma tu pensi ca io stassi accussì tranquillo cumpà?… s’amu a fari u macellu pi mmia u faciemu…”.