Ad accelerare l’avvicinamento del Movimento cinque stelle ai “vecchi partiti” adesso c’è anche questo vizio. Quello, cioè, di raccontare che si è vinto anche quando si è perso. Di affermare che va tutto bene, quando non va bene per nulla. E così, dalle dichiarazioni del capo politico Di Maio a quelle del capogruppo all’Ars Cappello è tutto un gioco di “distinguo” e precisazioni. Tutto un equilibrio sopra la sconfitta.
Le scuse, poi, sono sempre le stesse. “Si perde nei Comuni perché si corre da soli”. E qui ecco emergere almeno due controsensi. Il primo: anche i leader siciliani del Movimento avevano annunciato che i tempi erano maturi per la corsa insieme alle liste civiche. Un tabù da sfatare per provare a vincere anche a livello locale. Ma questo passo non è stato compiuto, forse perché ancora troppo presto. Ma c’è un altro elemento che smonta la teoria grillina: la legge con cui si è votato è, nella sostanza, la stessa che aveva consentito al Movimento in questi anni di conquistare Bagheria e Gela (oltre ad altri centri importanti come Ragusa). Comuni in cui invece i grillini, stavolta, non sono riusciti ad andare nemmeno al ballottaggio.
Eppure, i Cinquestelle esultano con argomenti poco convincenti. Tra questi la tesi secondo cui il Movimento è comunque “il primo partito” in tutti i Comuni. Ragionamento che di per sé non ha alcun senso, di fronte alla flessione evidentissima nei numeri. Ma che non è nemmeno del tutto vero, visto che in diverse realtà anche liste civiche (dove spesso confluiscono i voti di esponenti dei partiti tradizionali) hanno ottenuto più voti della lista grillina. A cominciare proprio da Bagheria e Gela. Nel primo caso, tra l’altro, rispetto alle ultime Amministrative il Movimento ha dimezzato le proprie preferenze: da oltre cinquemila voti a poco più di 2.500. Da più del 18 per cento a poco più del 9 per cento.
Che c’entrano in questo caso le “accozzaglie”? Nulla ovviamente. Forse, semmai, a influire di più saranno state le disavventure giudiziario-amministrative del sindaco uscente Patrizio Cinque oltre a qualche polemica su alcuni temi “caldi” come quelli dell’abusivismo e dell’ambientalismo in cui i grillini di Bagheria sono apparsi come minimo contraddittori. E lo stesso si può dire per Gela, dove le preferenze sono scese da quasi cinquemila a poco più di tremila, il candidato ha ottenuto il 15 per cento dei voti contro il 24 per cento di cinque anni fa, così come la lista scesa dal 12 al 9 per cento. E anche in questo caso certamente non avranno giovato le faide che già dopo l’elezione spinsero Domenico Messinese fuori dal Movimento. Si “salva” invece il Movimento a Caltanissetta, città del proprio leader siciliano Giancarlo Cancelleri, acciuffando quantomeno il ballottaggio, così come è avvenuto a Castelvetrano. Saranno quelli gli appuntamenti che potranno trasformare una tornata fallimentare in una elezione di successo. Ma solo in caso di vittoria, ovviamente.
Ad oggi, però, il Movimento non piazza nessun sindaco in nessuna grande città. E se la consolazione è nei risultati della Lega, vuol dire che il momento per i Cinquestelle è davvero difficile. Alle ultime politiche, il Movimento ha ottenuto percentuali stratosferiche, sopra il 40 per cento e a volte sopra il 50. Considerare un successo il fatto che, ad esempio a Bagheria, la differenza col Carroccio è di appena un punto percentuale e di meno di 300 voti, o rivendicare di essere arrivati avanti anche a Gela avanti appena di un punto e mezzo e di cinquecento voti, è poco più che un gioco retorico. Dire “siamo arrivati avanti alla Lega” in Sicilia, dove la Lega fino a due anni non c’era e con scarti così stretti, è il segno del flop. E l’ossessione leghista è un errore che fa il paio col peccato originale: inseguire il Carroccio politicamente, appiattirsi sulle sue posizioni su molti temi, dare l’idea di essere comunque subalterni, di fronte all’uomo forte al governo.
Così si sono capovolte le percentuali di consenso a livello nazionale. Un “sorpasso” che ha avuto anche in Sicilia la sua rappresentazione plastica nella “beffa” di Mazara del Vallo. Lì si sono confrontati pure due ministri, a poche ore dal voto. Da un lato il ministro per il Sud Barbara Lezzi, dall’altro quello dell’Interno Matteo Salvini. E alla fine, è stato il candidato leghista Giorgio Randazzo a strappare il diritto per giocarsi l’elezione al ballottaggio, nella cittadina con la più popolosa comunità islamica. Il Movimento è rimasto fuori anche lì. Sconfitto e ridotto a scavare nel lessico e nei ragionamenti dei vecchi partiti per giustificare la battuta d’arresto. “Siamo il primo partito”. Ma la Lega, fino a poco tempo fa lontanissima, oggi è assai vicina.