I mali del cinema italiano e la banda dei sogni di Francesco Alliata

I mali del cinema italiano e la banda dei sogni di Francesco Alliata

Il caso della Panaria film
LO STRETTO IMMAGINARIO
di
5 min di lettura

“L’Arte rinnova i popoli e ne rivela la vita”. Non solo i cittadini di Palermo, ma moltissimi siciliani sanno bene dove andare a leggere questa frase. Per questo non sono rimasti sorpresi dalla polemica nata durante la oramai abitudinaria kermesse della Mostra Cinematografica di Venezia, sulla pertinenza o meno nel far interpretare ruoli iconici di personaggi italiani ad attori stranieri. A Catania e a Palermo, a Trapani e a Siracusa, ad Agrigento e a Milazzo, quest’affermazione avrà fatto sorridere più di una persona, compresa Vittoria Alliata, e cioè la figlia di Francesco Alliata.

Ha fatto sorridere perché quest’ultima polemica conferma la mediocrità in cui versano l’industria e l’arte cinematografica in Italia, con le dovute eccezioni che, però, non faranno la storia, lo stile e lo spirito del tempo. Chi rileggerà questo tempo, troverà incredibile prendere atto come in meno di un secolo, una cultura artistica e visiva di valore, sia diventata da modello da seguire a evento da sopportare o se si può, anche evitare. Basterà allargare la visione di questi tempi, però, per capire che non era razionale immaginare che il cinema, solo perché tale, potesse passare indenne dallo stato di mediocrità culturale e antropologica dell’Italia in generale. Partendo da me, sia chiaro.

Mentre si spengono le luci sulla solita e inutile kermesse veneziana, è meglio ricordare altri tempi, e altri personaggi, come Francesco Alliata di Villafranca (ed evito di citare tutti gli atri nomi e titoli che seguono, altrimenti faremmo notte). Non era un attore e nemmeno un regista, ma fu anche un Produttore Cinematografico Siciliano che immaginò, fondò e animò la Panaria Film.

Già da studente universitario, mentre studiava Giurisprudenza, si applicò e apprese come usare la macchina da presa in maniera professionale. Approfittò della Seconda Guerra Mondiale per parteciparvi in maniera adeguata e non convenzionale, proponendo e ottenendo la formazione di un Reparto Speciale addetto alla documentazione fotografica e cinematografica delle azioni belliche, e per cinque anni documentò tutto ciò che fu possibile. Cinque anni di guerra, lo formarono in maniera elevata, ed è a lui che i Gorgone (due cugini palermitani) che avevano fondato l’Organizzazione Filmistica Siciliana, si rivolsero per un progetto di un lungometraggio: Turi nella Tonnara.

Il film prevedeva delle immagini subacquee non usuali per quel tempo (anzi rarissime e pioneristiche) che lui realizzò inventando tecniche e metodi, aiutato anche da un’attrezzatura usata in campo militare dalla Regia Marina, e donatagli da un amico. Due mesi d’immersioni per le riprese e, finanche, una romantica scena da controfigura: scese in fondo al mare per raccogliere una stella marina da regalare a una donna. Due mesi d’immersione, oltre a produrre le scene per il lungometraggio, accumularono esperienze e materiale sufficiente per poi girare e montare un documentario di capitale importanza nella storia della cinematografia: Cacciatori Sottomarini.

Documentario montato con Carlo Alberto Chiesa (montatore di Rossellini) che fu selezionato a Cannes e al Festival di Edimburgo. Fu il successo di quest’opera a convincere Francesco Alliata a diventare produttore e fondare la Panaria Film. 

Normalmente, gli addetti ai lavori, i critici e l’opinione pubblica, vedono nel cinema la qualità di chi dirige e di chi interpreta, e subito dopo l’articolato insieme delle maestranze, ma pochi, il valore di chi produce l’opera cinematografica. Ed è strano che sia così, perché è come immaginare una nave, con capitano e ciurma, senza il suo armatore o senza chi la costruisce. Una cosa illogica, ma da cui derivano molte delle fortune e della qualità della produzione cinematografica.

Senza produttori capaci, culturalmente avanzati, consci del ruolo che rivestono, e cioè d’imprenditori con evidenti responsabilità culturali e sociali, il cinema può avere registi e attori in pectore di valore (finanche dei geni) ma non inciderà per nulla sulla storia di una comunità. Se osservate con attenzione, si vedrà che la fortunata epopea del cinema italiano è sorretta dalle spalle di produttori cinematografici notevoli. Tanti, oltre ai più noti, Carlo Ponti e Dino De Laurentiis.

Era questo capitale umano che ha permesso al cinema italiano di assumere il ruolo internazionale che sappiamo, ed è la mancanza di personalità adeguate, oggi, che ha ridotto il cinema italiano a raccattare soldi tra i vari Ministeri Competenti, le Regioni, gli Enti Statali di vario genere e tipo, per realizzare dei film. Ci sarà un motivo per cui, negli ultimi anni, il modello del produttore cinematografico più noto al pubblico è stato Massimo Ferrero? Ci sarà un motivo per cui, il De Laurentis figlio, è noto più per il calcio e gli investimenti che esso ormai promuove e muove, che per essere ancora, forse, un produttore cinematografico?

Prendersela con registi, attori, con tutta la straordinaria mano d’opera che costruisce un lungometraggio, è come sparare sulla Croce Rossa. Senza un armatore di valore non si può avere una nave di valore e una grande impresa da sognare e realizzare.

Il Principe Francesco Alliata va ricordato perché prese sul serio la responsabilità culturale e sociale del ruolo di produttore cinematografico. Va ricordato non solo per alcuni documentari che hanno sancito la nascita di questo genere di opere (Folco Quilici e lo stesso Jacques-Yves Cousteau, devono tutto a queste opere pioneristiche) o per i due più noti lungometraggi prodotti, e cioè Vulcano con Anna Magnani o La Carrozza d’Oro, di Jean Renoir, ma per aver dato una funzione sociale e pubblica a un’attività imprenditoriale. 

Questa sua attività non durò molti anni, ma ha il merito di aver evidenziato quali siano i valori e le finalità di chi produce un film, e le responsabilità pubbliche che si assumono, nel farlo. Valori e finalità che ogni buon palermitano ha la fortuna di poter vedere riassunti in una frase posta in alto, sul frontone del Teatro Massimo: “Vano è delle scene il diletto che non miri a preparare l’avvenire”. 


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI