Uccidere e non provare rimorso. Pianificare persino l’esecuzione. Senza un obiettivo scelto, senza una vittima precisa, scelta o destinata dalla rabbia, dalla vendetta, dal torto subito. “Questo si deve aspettare chi viene a casa mia”. Carmelo Vaglica, il pastore che ha ucciso Luigi D’Aniello, un giovane ladro a Piana degli Albanesi, attraverso un congegno fatalmente preciso, non torna indietro. Nemmeno di un passo. L’ha ucciso e gli sta bene. Questo racconta al sostituto procuratore di Termini Imerese, Giacomo Urbano.
“Ho studiato quella trappola per un anno, provando e riprovando la mira”. Freddezza da killer, per chi killer non è, non lo è di “professione”. Freddezza del siciliano “caldo”, verrebbe da dire. Di quello stereotipo di qualche decennio fa. Di un uomo legato alla roba, che è tutto. Che è la vita. E chi la tocca, inevitabilmente, con la vita deve pagare.
Uno stereotipo antico, eppure sorprendentemente moderno. Più di un commento, “postato” sul nostro sito, ha espresso una posizione simile a quella del pastore di Piana. “L’ha ucciso? Ha fatto bene. Quello era un ladro. Vadano a lavorare invece di entrare nelle case altrui”.
La roba. E il siciliano di campagna. Che ora è anche il “patrimonio” del siciliano di città. E non solo del siciliano, ma anche del bergamasco, del milanese, del romano che inneggia alla “giustizia fai da te”. Che accoglie con entusiasmo leggi che gli consentano di uccidere, in casa propria o nel proprio negozio (o anche qualche metro fuori) ladri e rapinatori. Che all’idea di una sicurezza disposta e garantita da uno Stato, ha scelto quella del fucile a canne mozze, della rivoltella. Del proprio fucile, della propria rivoltella. Il cittadino che si sente assediato, che sente la propria “roba” in pericolo si tramuta in un killer. Freddo. Che scopre di saper uccidere. E soprattutto scopre, tragicamente, che si può uccidere senza provare rimorso.
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