PALERMO – E alla fine arrivò persino il comunicato stampa in cui si nomina Totò Riina. La polemica tra rifiuti e veleni che contrappone ormai da mesi l’assessore regionale all’Energia Nicolò Marino e il vicepresidente della Confindustria siciliana Giuseppe Catanzaro non accenna a placarsi. Anzi. Il magistrato piazzato da Crocetta all’assessorato all’Energia, continua a picchiar duro a ogni buona occasione contro l’imprenditore agrigentino. Una guerra al veleno tutta interna al fronte dell’antimafia, a cui per storia professionale è certo ascrivibile il magistrato Marino, ma anche Catanzaro, imprenditore che si è opposto alle estorsioni e che ha aderito alla svolta antiracket della nuova Confindustria, sotto la guida di Ivan Lo Bello e Antonello Montante, protagonisti della svolta che dopo decenni di distrazioni e silenzi ha visto scendere in campo contro la criminalità organizzata con scelte senza precedenti le associazioni degli industriali.
La polemica cominciò ai primi di luglio, quando Marino attaccò a testa bassa Confindustria, rea, per la verità insieme a Legambiente, di essersi opposta al decreto del governo che prevedeva lo stato d’emergenza sull’impiantistica dei rifiuti. L’emergenza è stata la premessa che negli ultimi anni ha permesso in Sicilia gestioni commissariali, spesso fallimentari, osservarono non senza ragioni Confindustria e Legambiente, che hanno portato a una progressiva deresponsabilizzazione delle Istituzioni e a risultati non certo encomiabili in termini di qualità dei servizi. Ma alle critiche mosse su un piano politico da industriali e ambientalisti, Marino da subito rispose con un contrattacco che virava sul personale: “Deve quindi dedursi – scrisse allora l’assessore – che le associazioni in parola non prediligano impianti di riciclo, compostaggio, pirolisi e così via, o meglio, non prediligano che, una volta tanto, li si faccia subito, probabilmente innamorati delle ‘vecchie e care discariche’ come quella che il dott. Catanzaro gestisce in quel di Siculiana”.
Fu solo l’antipasto di uno scontro che è cresciuto nei toni di settimana in settimana, e che Marino ha alimentato a ogni buona occasione, tornando alla carica in dibattiti pubblici e interviste alla stampa. Una delle quali è risultata particolarmente indigesta a Catanzaro, che ha querelato Marino sentendosi diffamato dalle sue esternazioni. Parlando con L’Espresso Marino sostenne che la sua azione politica stesse nuocendo a “interessi privati di chi pensa di poterci insultare impunemente riparandosi dietro lo scudo di Confindustria Sicilia”. Aggiungendo poi, sempre a proposito della Confindustria siciliana, che “anche la mafia parlava di antimafia”. Frasi che secondo Catanzaro rappresentano “calunniose esternazioni pubbliche”, che “hanno superato il limite, esulano dal suo ruolo istituzionale e possono apparire difficilmente conciliabili con i criteri di imparzialità cui deve essere ispirata l’azione della pubblica amministrazione”. Da qui la querela e l’ultima controffensiva di Marino, ieri sera, con tanto di richiami a fatti datati al lontano 1995.
Un conflitto durissimo che certo sta minando dall’interno il governo di Rosario Crocetta, i cui ottimi rapporti con la Confindustria siciliana non sono certo un segreto, tanto che in giunta, accanto a Marino, siede un assessore, la titolare delle Attività produttive Linda Vancheri, diretta espressione degli industriali.
Che i rifiuti rappresentino un tema delicato e scivoloso, e che la storia della loro gestione in Sicilia sia legata a doppio filo con zone d’ombra inquietanti, è una verità difficilmente confutabile. E che il governo, attraverso l’azione dell’assessore al ramo, intenda attuare in quest’ambito una politica che non guardi in faccia a nessuno, è notizia da accogliere positivamente. Ma quando la dialettica politica degenera in uno scontro di tale violenza e si personalizza in una sorta di crociata, in cui si fa quasi a gara nello sfoggiare il più intonso pedigree dell’antimafia doc, la situazione rischia di sfuggire di mano. Fin qui i tentativi di Crocetta (che subito, a luglio, sentì la necessità di manifestare la sua vicinanza a Confindustria, all’indomani del j’accuse di Marino) di addormentare il conflitto sono stati vani. Cinque mesi dopo, i veleni dell’antimafia continuano a scorrere copiosi. In una querelle che almeno da un punto di vista mediatico, a prescindere dal merito, sta logorando l’immagine granitica di un blocco antimafia e legalitario che fin qui aveva fatto fronte comune. Solo il tempo potrà dire se tutto questo giovi o piuttosto stia nuocendo alla Sicilia.